La locandina del festival mi ha fatto subito drizzare le orecchie, perché raffigura Pier Paolo Pasolini e Paolo Rossi, e anche solo questo inedito accostamento vale il prezzo del biglietto e rappresenta, a mio parere, una precisa scelta di campo: Alan Poloni e i suoi sodali riconoscono il profondo valore culturale dello sport, sotto molteplici profili, e rivendicano le proprie ambizioni senza battere ciglio.
Anche la denominazione del Festival, giunto alla quarta edizione e che si celebra sulle sponde del Lago di Iseo, al confine tra la provincia di Brescia e quella di Bergamo (i comuni interessati sono Sarnico e Paratico), è una sorta di manifesto: citare Ray Bradbury e François Truffaut quando si parla di football non è scontato, e mi consente, mentre celebro quello che reputo un evento di grande importanza nel panorama della narrativa sportiva italiana, anche di togliermi qualche sassolino dalla scarpa.

Pier Paolo Pasolini, tra i primi intellettuali del Vecchio Continente che si sono occupati di football
In Europa, per decenni e anche in ragione delle solide base accademiche su cui si è costruita la nostra storia, si è guardato allo sport e a ciò che lo circonda come a una mortificazione della cultura, e non come a una sua componente essenziale e vitale – questo, con le dovute e significative eccezioni (su tutte, naturalmente, quella di Pier Paolo Pasolini, la cui immagine non a caso domina la locandina del festival).
Nel Nuovo Mondo, forse perché l’accademia ha sempre avuto un ruolo marginale nella maturazione di un modo radicalmente nuovo di guardare alle cose, la distinzione tra cultura “alta” e cultura “bassa”, pur se chiaramente esistente (penso a Borges, che organizza una conferenza sulla letteratura il giorno in cui iniziano i mondiali di calcio argentini del 1978), non possiede radici solide come quelle europee.
E così in America abbiamo i casi di Ernesto Sabato (penso a “Sopra eroi e tombe“, dove racconta l’Independiente degli anni ’20 del ‘900), Eduardo Galeano (forse il padre della mitopoiesi nel mondo del football), Roberto Bolaño (che ambienta alcuni racconti negli spogliatoio dei Barcellona FC) e David Foster Wallace (i cui saggi sul tennis sono tra i vertici della letteratura contemporanea, sono filosofia esistenziale applicata alla competizione agonistica), ovvero i casi di scrittori di primo piano che, riconosciuti quali autorevoli portavoce di un approccio culturale allo sport, non ne rinnegano le radici popolari, la componente passionale, il puro e semplice apprezzamento per il gesto tecnico e atletico.
Ma sanno anche trasfigurarlo in qualcosa di significativo, profondo, in uno strumento di interpretazione del mondo; in altri termini, diversi grandi scrittori del Nuovo Mondo sono stati in grado di avvicinare tra loro i due lembi di quell’enorme lenzuolo che chiamiamo cultura, quello “alto” e quello “basso” (mi secca usare un aggettivo che ha inevitabilmente connotazioni negative, ma lo faccio per rendere l’idea), per forgiare un modo originale di guardare allo sport e, di riflesso, al mondo (“Michael Jordan che rimane sospeso in aria come una sposa di Chagall“).

Arrivo al dunque: il festival denominato Fahrenheit 442 (come il nostro Game of Goals: almeno, ci proviamo anche noi) fa esattamente la stessa cosa, si colloca nel solco di quella narrazione/narrativa sportiva che da qualche tempo ha preso piede anche in Italia e che vede nella serie di eventi organizzati da Alan Poloni e amici uno dei propri vertici.
Uno dei tanti pregi del Festival è la sua capacità di esplorare l’universo del calcio in molteplici direzioni.
La rassegna degli incontri in programma prevede serate dedicate al calcio giovanile e alla sua importanza anche come fenomeno educativo, la presentazione di alcuni libri di grande spessore (“La storia del mondo in dodici partite di calcio” di Stefano Bizzotto, il cui titolo programmatico rivela e racchiude lo spirito di tutta la rassegna; “Il calcio del figlio” di Wu Ming 4, che fa parte del collettivo Wu Ming).
E non dimentica chiaramente l’attualità, con una serata dedicata alla complessa e affascinante stagione delle squadre milanesi (ospiti Giuseppe Pastore e Fabrizio Biasin) e con un evento celebrativo dello scudetto del Verona, forse l’impresa più grande e per certi versi irripetibile della storia del calcio italiano.

Domenica sera, il programma prevede la presentazione di altri due testi di primo piano nel campo della letteratura sportivo, ovvero degli ultimi lavori di Roberto Beccantini e di Giancarlo Dotto.

Presente a passato, la passione del tifoso e lo sguardo più alto e critico dello “storico”: come dicevo nella premessa, al Fahrenheit 442 si fa cultura sportiva nel senso più nobile e alto del termine.


