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La Giostra delle Regole (terza puntata): il futuro del calcio arriverà… dal basket?

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Immagine di copertina: una VAR room. Ma è solo l’inizio di una lunga rivoluzione destinata a sconvolgere il calcio anche in futuro…

Quello che invece ha scosso l’universo calcistico dal 2016 è stato senza dubbio il ricorso a un altro strumento tecnologico, elettronico, fotografico e informatico come il VAR, il discendente geniale di nonna moviola che il pittoresco giornalista Aldo Biscardi voleva, da decenni, collocare a bordo campo. Anche l’introduzione del VAR è quindi una modifica ‘correttiva’, tesa cioè ad aiutare l’arbitro a vedere meglio e controllare quello che non può a occhio nudo e ad azione, magari velocissima, in corso.

Tutto ciò, è bene ricordarlo, per placare e magari azzerare le polemiche che ogni singola partita scatena immancabilmente a causa dei frequenti errori, siano essi sviste o valutazioni sbagliate, compiuti dai direttori di gara. Tanto più da quando i mezzi tecnologici sempre più sofisticati li certificavano, dapprima il lunedì, poi la domenica sera, poi appena finita la partita e poi, addirittura, a gara in corso.

Come a Berlino per la testata di Zidane a Materazzi nel 2006 (leggi qui per la cronaca del match). Senza voler ripetere la storia della nascita del VAR, già raccontata in un’altra serie di articoli, mi basta qui ricordare che la resistenza dell’IFAB a capitolare di fronte a richieste sempre più pressanti da parte dell’opinione pubblica e di un giornalismo televisivo sempre più agguerrito e preciso sul piano dello scandaglio di precisione visiva, sia come ingrandimenti sia come rallentamenti sia come allineamenti, è stata senza dubbio degna di miglior causa.

La testata di Zidane a Materazzi nella finale del Mondiale 2006. L’arbitro non vide nulla, poi fu richiamato dal quarto uomo che la scoprì grazie alla moviola televisiva

E che espedienti come gli arbitri di porta, quelli d’area e i guardalinee diagonali sono stati obiettivamente ridicoli, inefficaci e soltanto spie, in ultima analisi, di un inspiegabile rifiuto a usare appieno la tecnologia al servizio del mondo arbitrale e non solo. Alla fine, nel 2016, il VAR ha emesso il primo vagito. Ma, ahimè, non ha ancora smesso!

Sono passati nove anni e pare ancora un lattante da svezzare, doveva placare le polemiche e le ha moltiplicate, doveva aiutare gli arbitri e invece li ha spesso confusi. Non solo, ha perfino complicato in modo serio il compito di chi deve redigere e revisionare il regolamento del suo utilizzo, il famoso Protocollo, e perfino di chi deve interpretarlo, cioè gli arbitri stessi. In questi nove anni, abbiamo visto tutti ogni più piccola variante di comportamento a fronte di episodi sovrapponibili e, devo candidamente confessarlo, ancora non ho capito perfettamente quando l’arbitro può essere chiamato a controllare e quando i colleghi ‘tecnologici’ ubicati nel Centro VAR di Lissone invece non possono intervenire.

Una cosa ho capito in tutti questi interventi di controllo, anzi due anche se di questa seconda non sono certissimo.
La prima è che l’arbitro di campo chiamato a controllare nel 99% dei casi cambia idea. In quasi dieci anni, le volte in cui l’ho visto mantenere la propria decisione iniziale si contano sulle dita di una mano. La seconda è che il controllo al monitor viene sempre deciso da Lissone, ma su questo non siamo sicuri al 100%, dal momento che non mi è dato mai sapere cosa si dicono i due all’interfono.

In tutti i casi, l’occhio tecnologico risulta essere sempre più credibile di quello umano. Ma se questo è plausibile nei casi oggettivi e misurabili nello spazio o nello spazio/tempo come il fuorigioco, peraltro con alcuni dubbi, ciò assume decisamente aspetti più discutibili se si tratta della intensità dei contatti. È ovvio che il combinato disposto tra velocità e contrasto di gioco diventa paradossalmente meglio giudicabile dal vivo che non alla moviola, ma su questo argomento diventa facilissimo trovare pareri discordanti in generale, che diventano aggressivi quando ci si rivolgesse a protagonisti penalizzati e condiscendenti se l’interlocutore è il beneficiario.

A dirla tutta però, si deve anche sottolineare che l’occhio elettronico, cugino di quello ‘di falco’ del tennis o del volley, nel nostro calcio può intervenire, e spero presto essere interpellato, solo per cose accadute in area di rigore o di grave rilevanza disciplinare o che abbiano permesso in modo scorretto la realizzazione di una rete. Ma c’è un altro aspetto spinoso e curioso, introdotto dall’ottica tecnologica.

Fin da subito, nove anni fa, è cominciata una sequenza interminabile, e infatti tuttora in corso, di interpretazioni, letture o precisazioni più o meno dotte delle norme. Quindi, non vere e proprie modifiche del regolamento, ma modalità d’uso tese ad aggravare o derubricare un determinato episodio, accaduto, come detto, esclusivamente in area di rigore o che abbia determinato una rete. Per esempio, una delle più antiche infrazioni codificate, il fallo di mano, ha subito dal 2016 in poi una tale serie di ‘precisazioni di gravità’, serie ancora in corso, che posso sfidare chiunque, operatori di campo compresi, a capire e spiegare con certezza di verità quando questo o quell’episodio di tocco con l’arto superiore determini la concessione di un penalty o, piuttosto, l’annullamento di un gol.

Da quando nulla sfugge più, questo è certo, le valutazioni inoppugnabili di quanto è accaduto, paradossalmente, si sono alquanto complicate. E se per i contatti si è giustamente deciso di fidarsi del giudizio dal vivo, per i falli come quello di mano, c’è da mettersi le mani, appunto…, nei capelli. Si è partiti con l’accetta e ogni tocco era punibile, volontario o meno che fosse, ma il numero abnorme di rigori concessi e il ‘tiro a segno’ di certi furbetti che miravano a colpire con la palla gli arti superiori dei difensori, ha fatto inaugurare le sequela di correzioni interpretative, tuttora in corso e di fronte alle quali, molti commentatori giustamente si chiedono: ‘Ma è ancora Calcio?’.

Cercando di astenermi da questi argomenti e ricordando che la prassi becera vuole che siano bravi e onesti il giudice e l’arbitro che ci danno ragione e quindi scarsi e corrotti, se va bene, quelli che ci danno torto, non posso che limitarmi ad augurare al mondo VAR di trovare uniformità e chiarezza di applicazione. Trattandosi, è giusto sottolinearlo, di uno strumento oramai indispensabile e che, in ogni caso, ha diminuito di molto gli errori della componente arbitrale, salvando nel contempo la regolarità di risultato di una marea di partite. Ma dal momento che, si sa, tutto è migliorabile, concludo questa lunga disamina permettendomi di dare qualche modesto suggerimento sia sul regolamento sia sul protocollo.

Chi mi conosce sa quanto sia appassionato di un gioco complesso anche dal punto di vista delle regole e del loro evolversi come la pallacanestro e quindi non si stupirà se prenderò spunti proprio da quella disciplina per i suggerimenti che mi appresto a dare. Tanto più che credo, anche se la cosa non mi entusiasma più di tanto, che prima o poi il calcio adotterà quel tempo effettivo che è tipico appunto dello sport con la palla a spicchi.

Non sarà un percorso breve, ma credo che, esattamente come è stato per il VAR, ci si arriverà per forza. Le resistenze, come nell’altro caso, ci sono già verso questa nuova rivoluzione e le abbiamo viste, per esempio, ai Mondiali in Qatar con recuperi abnormi, poco graditi e la cui efficacia è apparsa subito discutibile e foriera di ulteriori malumori. Ma le polemiche sulle perdite di tempo, alcune sanzionabili altre no, abbondano e rendono alcune fasi della gara stucchevoli e, dal momento che in realtà il tempo effettivo sarebbe in grado di annullare solo le prime, ecco alcuni espedienti, mutuati appunto dal basket, per cercare di risolverli entrambi con semplicità.

L’azione con cui il Giappone batte la Spagna ed elimina la Germania al Mondiale 2022. L’arbitro inizialmente annulla la rete, ma per il VAR la palla non è uscita. Eppure le immagini sembrano parlare chiaro…

Per esempio, i rinvii del portiere e le rimesse in gioco potrebbero avere un tempo limitato, tipo 7 secondi per il primo e 3 secondi per le altre, con i palloni di ricambio posizionati, come già avviene, in postazioni fisse a bordo campo. Gli infortuni, spesso ingigantiti o simulati del tutto per ragioni speculative, potrebbero essere neutralizzati introducendo una regola per cui il giocatore a terra deve stare fuori poi un tempo equivalente senza poter essere sostituito se non al termine di tale periodo.

Per capirci: 3 minuti a terra in campo? 3 minuti fuori e la squadra in inferiorità numerica. Credo che questo possa essere proprio un rimedio efficace contro gli inganni di questo tipo. Come avrete visto, siamo nel campo ‘correttivo’ delle modifiche, ma non mi limiterò solo a questo. Il calcio, come tutti gli sport di squadra, continua a crescere, sia in direzione correttiva, appunto, delle storture sia in quella migliorativa, costruttiva e spettacolare che sia in grado di rendere il ‘prodotto’ sempre più godibile.

E una proposta che può obbedire in modo egregio e tutte questi obiettivi deriva ancora dal basket. Dove ogni squadra in possesso del pallone ha 8 secondi per oltrepassare la metà campo e poi non può più rientrarvi, pena la perdita appunto del possesso. Togliendo magari il limite di tempo per avanzare, impedire il ritorno nel proprio terreno difensivo e al portiere potrebbe essere una innovazione interessante per combattere la ‘melina’ noiosa e poco sportiva ed essere nel contempo una novità foriera di sviluppi interessanti sul piano tattico. È vero che ci sono molte squadre, come l’Inter in Italia, che fanno di questo profondo ‘giro palla’ un espediente di attesa volta all’attacco di sorpresa più che alla perdita di tempo, ma non vi è alcun dubbio che una simile limitazione potrebbe davvero indurre sviluppi ora imprevedibile alla manovra.

Confesso di avere altri desideri, più che suggerimenti, sempre costruttivi rubati alla pallacanestro: per esempio, due arbitri in campo di pari autorità potrebbero vedere meglio, essere più vicini e quindi lucidi all’azione in corso e perfino consultarsi tra di loro come fanno i colleghi grigi sul parquet. Potrebbero perfino decidere di chiedere aiuto al collega ‘tecnologico’ a Lissone, ribaltando la gerarchia attuale. Ma di questo parlerò meglio dopo, occupandoci di protocollo.

Altre innovazioni solo apparentemente minori potrebbero essere quelle relative al concetto di ‘palla fuori’ e ai tempi supplementari. In ambedue i casi il riferimento è sempre alla pallacanestro e nel primo il nostro suggerimento è quello di considerare il pallone uscito quando tocca terra al di là delle linee, come avviene ora, o quando il giocatore che lo controlla esce con i piedi dal campo. La novità sarebbe che la palla che in volo dovesse superare la demarcazione del campo sarebbe in gioco, permettendo, per esempio, traiettorie molto interessanti sui corner. Viceversa un pallone all’interno del campo giocato da un calciatore che pesti la linea o sia fuori diventa out.

Un’altra novità molto intrigante che deriverebbe da tale modifica riguarda il portiere e il concetto di gol. È vero che per essere tale il pallone deve toccare il terreno all’interno della porta, ma diventa altrettanto vero che sarebbe gol in caso di respinta o parata di un estremo difensore (o di qualunque altro giocatore) che toccasse con i piedi o con altra parte del corpo quel terreno.

Per quanto concerne i tempi supplementari siamo d’accordo con chi sostiene che due da 15 minuti sono troppi, ma non concordo con chi propone di abolirli del tutto e passare direttamente ai calci di rigore. La mia proposta, ispirata indovinate a cosa…, è di giocarne uno alla volta e di ridurne la durata a 10 minuti. A oltranza? Può essere. Oppure dopo il terzo o il quarto, reintrodurre il Golden Goal. Ultima proposta che faccio, costruttiva o correttiva decidete voi, è quella di reintrodurre la punizione a due in area di rigore e derubricare ad essa tutti quei ‘rigorini’ che si vedono ultimamente.

L’ultimo capitolo di questa lunga disquisizione riguarda, come detto, il Protocollo, termine oscuro e troppo elastico per tacitare recriminazioni e semplici quanto legittime richieste di chiarimenti a posteriori e di chiarezza per il futuro. Senza dirvi a quale sport che usa questi mezzi in modo a parer nostro mirabile mi riferisca, affronto un aspetto molto importante di cui ho già accennato. È il tema che risponde alla domanda: chi ha realmente in mano oggi le redini della direzione di gara? L’arbitro in campo o il mezzo tecnologico?

Qualunque sia la risposta al quesito in essere, sono convinto che sia l’arbitro in campo a dover essere l’autorità suprema della partita e che sia lui, senza presunzione ma anche senza pressioni, a decidere quando e se rivolgersi al collega attrezzato tecnologicamente, ribaltando di fatto una gerarchia surrettizia ma indubbia che governa attualmente le fasi controverse della gara.

Nel basket, per esempio, chi governa il computer non è neppure un arbitro, ma un semplice tecnico informatico che esegue le richieste dei direttori di gara, i quali o decidono motu proprio di andare a controllare un’azione dubbia o lo fanno su richiesta di uno dei due allenatori delle squadre in campo. Ecco dunque un altro aspetto che può essere tranquillamente replicato nel calcio: il controllo sollecitato, il cosiddetto ‘VAR a chiamata’.

L’instant replay nel basket: non è escluso che in futuro il calcio continui a mutuare regole e idee dalla pallacanestro, come per altro successo con il formato della nuova Champions League a girone unico basato sul modello Eurolega

Prima di parlarne, una doverosa premessa. C’è una ennesima giusta regola della pallacanestro che vorrei fosse adottata dal football: l’arbitro principale di quelli sul parquet dichiara sempre qual è la sua decisione prima di avvicinarsi al monitor, e solo se le immagini che vede in esso gli dimostrano che la decisione giusta è un’altra, la adotta e si corregge, ma se non la trova o se non è abbastanza convincente o chiara, rimane quella assunta in precedenza. Sembra una sottigliezza, ma se ci si riflette con un minimo di attenzione, ci si accorge che siamo di fronte a due modi opposti di concepire il mezzo esterno: un aiuto o un capestro. È bene precisare, infatti, che questa procedura viene seguita sia che l’esigenza del controllo nasca all’interno del gruppo arbitrale sia che scaturisca da una richiesta delle panchine.

A questo proposito, mi pare ovvio che, pure nel calcio, queste ‘chiamate’ debbano essere limitate nel numero e mai assolutamente indefinite. Diciamo che una misura equa potrebbe essere quella di due a gara per ogni allenatore con l’ovvia possibilità di spendere questi jolly quando si ritiene più opportuno e nella circostanza che si pensa più favorevole.

Questa limitazione di numero renderà gioco forza necessaria una certa parsimonia nel rivolgersi al VAR e siamo convinti che, dopo le prime mosse dettate dall’inesperienza, nessuno impiegherà una delle due richieste per controllare un corner conteso o una palla più o meno uscita in fallo laterale. Anche perché detto intervento può essere eventualmente chiesto ad azione incriminata appena conclusa e non dopo successivi sviluppi magari negativi.

Sono insomma abbastanza sicuri del fatto che, per esempio, il caso del recente Inter-Fiorentina, in cui i milanesi hanno segnato sugli sviluppi di un corner concesso per errore, si sarebbe verificato in modo analogo anche fosse già in uso il ‘VAR a chiamata’.

Chiudo il lungo viaggio intorno a questo argomento con un auspicio in generale che può essere anche letto come illiberale: sia consentito agli arbitri la libera valutazione degli episodi, ma sia proibita loro la libera interpretazione delle regole. Essa sarebbe la consacrazione del caos e consentirebbe l’abbraccio soffocante tra torto e ragione.

L’ultima frase la dedico a un’ennesima modifica che ci piacerebbe fosse introdotta. Non sappiamo dire se essa sia costruttiva, estetica o correttiva, ma gradiremmo che anche nel calcio, come nel… macchelodicoaffà…, i giocatori sostituiti potessero rientrare. E quindi… Avanti, siore e siori! Altro giro, altro regalooo…

*proprio come se mi avessero letto nel pensiero, con questo articolo già scritto ma non ancora pubblicato, l’IFAB ha deciso qualche giorno fa  che il portiere non possa trattenere il pallone oltre gli 8”, pena un corner per gli avversari. Non è molto chiaro se il possesso sia da considerare quello tcon le mani o anche con i piedi.

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