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Blue is the colour – la top 11 all time del Chelsea

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Il Chelsea ha fatto irruzione nella vita degli appassionati di calcio italiani nel 1996, quando Gianfranco Zola, emarginato da un Ancelotti ancora innamorato dei dogmi del Profeta di Fusignano, è emigrato a Londra e si è vestito di Blu. Fino a quel momento, per i tifosi italiani Inghilterra significava soprattutto Manchester United, Liverpool, Arsenal, mentre il Chelsea era una delle tante squadre minori.

Pochi anni più tardi, tale Roman Abramovič ha sganciato sul calcio inglese una bomba atomica che ha mandato in frantumi la supremazia tricolore e le sue certezze ventennali: la reazione collettiva italiana alla sua bomba, un misto di stupore e impotenza, è stata il presagio di un rovesciamento epocale dei rapporti di forza tra i due campionati. Roman, una sorta di versione russofona di Berlusconi, ma ancora più ambiziosa e spregiudicata, come sappiamo avrebbe messo a soqquadro i fragili equilibri su cui si reggeva il calcio europeo, e la sua prepotente iniezione di milioni ha definitivamente aperto le porte di una nuova fase della storia, con tutti i suoi precipitati, l’ultimo dei quali è l’imponente teatro allestito dagli arabi nel corso dell’estate che sta volgendo al termine.

Arrivo al dunque: il Chelsea ha scalato con una velocità inattesa e senza precedenti le gerarchie del calcio europeo quando Abramovič è divenuto il suo proprietario, e da allora sono arrivate, dopo tante delusioni e sofferenze, anche due Champions League, che hanno reso ricchissimo un palmares che, nel frattempo, ha iniziato a traboccare di titoli nazionali. Nonostante lo sbarco del magnate russo abbia evidentemente riscritto la storia del calcio londinese, noi appassionati di calcio d’Oltremanica non possiamo dimenticare i decenni di storia che hanno preceduto l’epopea russa, vissuti in bilico tra una gloria spesso effimera e bruschi scivoloni nella palude della mediocrità (penso alle stagioni in Second Division di fine anni ’70).

Rovistare nel carniere della storia dei londinesi è stato in ogni caso, come sempre, molto interessante, e ci ha consentito di ipotizzare la formazione ideale della formazione londinese, dagli anni ’60 a oggi.

Portiere: Petr Čech

Buffon, in occasione di una recente intervista, ha ribadito di essere un ammiratore del portiere ceco e di considerarlo uno dei massimi esponenti di sempre nel ruolo – Gigi si era già espresso in termini analoghi nel lontano 2006, prima di Italia-Repubblica Ceca. Non credo che Buffon esageri: lungo, agilissimo, votato al miracolo, Petr è stato uno dei portieri più decisivi degli anni zero, ed è diventato un’icona anche per il caschetto protetttivo che ha sempre indossato dopo la frattura cranica subita nel 2007. Il curriculum del ceco rende l’idea della sua straordinaria continuità: Petr è stato nominato nove volte giocatore dell’anno del suo paese, tre volte miglior estremo difensore della premier e, nel 2005, miglior portiere dell’anno solare. Il primo posto gli spetta a mio avviso di diritto, benché la concorrenza nel ruolo sia piuttosto agguerrita: The Cat Peter Bonetti, agilissimo ed elegante portiere di origini svizzere, ha giocato a Stamford Bridge per vent’anni, guidando la squadra di Londra negli anni della gloria e anche in quelli difficili della categoria cadetta. Il terzo gradino del podio lo lascio al polacco-gallese Eddie Niedzwiecki, nome di nicchia, estremo difensore del Chelsea operaio degli anni ’80, amatissimo dai suoi tifosi per il coraggio e il carisma.

Terzino destro: César Azpilicueta

Anche il versante destro della difesa ha regalato numerose soddisfazioni ai tifosi Blues. Sommando tutto, ho ritenuto giusto nominare titolare il capitano di lungo corso César Azpilicueta, marcatore grintoso, stantuffo inesauribile e leader incontrastato del Chelsea nel corso dell’ultima decade. Straordinario il suo apporto nel corso della Champions 2021 e dell’Europa League del 2019. Il ricco Pantheon dei laterali destri del Chelsea non può escludere il bestione Branislav Ivanović, terzino tuttofare con il vizio del gol e due piedi da giocatore slavo, colonna della squadra per quasi un decennio. Nome di culto a Londra, ma pressoché sconosciuto in Italia anche perché di fatto mai titolare in nazionale, è quello del terzo giocatore che mi preme citare in relazione al ruolo di right-back, ovvero quello di Kenneth John Shellito, talentuoso e duttile laterale del Chelsea degli anni ’60, protagonista della prima grande epoca d’oro degli inglesi e costretto a un ritiro prematuro, dopo 10 stagioni da titolare, a causa di un grave infortunio; più o meno della stessa levatura tecnica è stato David Webb, laterale capace di disimpegnarsi anche come centrale e attaccante, passato alla storia per il gol che decide la finale di FA Cup del 1970.

Difensore centrale: John Terry

Poco da dire sul grande stopper inglese, che recita la parte del leader della difesa per una decade, ergendosi a bastione difensivo e anche a decisivo uomo gol del primo grande Chelsea dell’epoca russa. Chi scrive ricorda un Terry encomiabile sia durante la stagione del primo titolo di Mourinho che in quella dell’ultimo, datato 2015, a conferma del grandissimo feeling tra John e l’allenatore portoghese. Innumerevoli i suoi gol pesanti come macigni, non ultimo quello che elimina il Barcellona di Rijkaard nel 2005. La riserva di Terry è un giocatore di caratura inferiore, ma che rappresenta per i tifosi dei Blues una vera e propria leggenda, ovvero Colin Pates, il leader del reparto arretrato dei londinesi durante i burrascosi anni ’80, e un giocatore moderno nell’interpretazione del ruolo, anche per le buone doti tecniche. Da ultimo, doveroso ricordare anche la figura di Gary Cahill, poderoso centrale che gioca da titolare sei stagioni a Londra, dimostrandosi un ruvido marcatore e un giocatore di grande affidamento.

Difensore centrale: Ron Harris

The Chopper, faccione e mole da duro in un film di Ken Loach, faccione e mole che mi suggerirebbero di girare al largo, se dovessi incontrarlo in una stradina di Londra alle due del mattino, è tuttora il recordman di presenze nella storia del club londinese, e ha attraversato due decenni con il piglio del capitano che affronta senza paura il mare in burrasca. Dal 1961 al 1980, Harris è stato l’anima del Chelsea, il leader spigoloso di una retroguardia di ottimi giocatori e lo scoglio contro cui si infragevano gli attacchi avversari. La sua lunghissima militanza con i blues è stata coronata dalla storica Coppa delle Coppe strappata al Real Madrid nel 1970, titolo internazionale che si aggiunge alle coppe nazionali vinte negli anni ’60.
Sul piano tecnico, gli è stato probabilmente anche superiore il raffinato – e pupillo di Mouriho – José Carvalho, elegante stopper del Porto che dopo il trasferimento in Inghilterra, nel 2004, si conferma uno dei centrali più affidabili e dotati in circolazione. Pulito, elegante, impeccabile in marcatura, il portoghese ha vissuto e giocato a Londra per sei stagioni, e proprio la sua militanza relativamente breve con i Blues mi impedisce di preferirlo a una leggenda come Harris, ma il posto in panchina gli spetta di diritto. Menzione doverosa, infine, per Thiago Silva, forse il più bravo di tutti in termini generali, che ha gioca a Londra solo per tre anni e che però è la colonna che sorregge tutta la difesa durante la vittoriosa cavalcata verso la Champions del 2021, e tanto basta per obbligarmi a parlarne.

Terzino sinistro: Ashley Cole

Terzino tra i più completi e della sua epoca, Cole – veloce, tecnico, concreto, poco incline a certi svolazzi – è stato una certezza per il Chelsea che si imponeva tra le grandi d’Europa a cavallo tra anni zero e anni dieci. Votato giocatore inglese dell’anno nel 2010, Cole ha fatto della continuità il suo punto di forza e non può mancare in questa formazione. Il reparto sinistro è decisamente meno affollato di quello destro e la più credibile alternativa a Cole è forse Wayne Bridge, laterale completo e di buon rendimento, che ha giocato a Londra per diverse stagioni.

Mezzala destra: Frank Lampard

Frank è il giocatore più importante della storia del club di Londra, il suo uomo-simbolo e, a dispetto del ruolo, anche il suo massimo scorer. Nel 2005, quando il mondo si sta stropicciando gli occhi davanti alle prodezze di Ronaldinho, Mourinho invoca il nome di Frank quando si parla del miglior giocatore del pianeta, e la sua non è una bestemmia: Lampard, nel 2005, matura definitivamente ed è un tuttocampista che evoca le gesta di Matthäus, in quanto fa la differenza in entrambe le fasi di gioco ed è uno spettacolare uomo gol, dotato di un intuito e di tempi di inserimento senza eguali. Nel Chelsea, Lampard macinerà chilometri, gol e palloni per molti anni, affermandosi come giocatore di caratura mondiale e vincendo tutto, compresa l’agognata Champions League. In panchina, si scalda ed è pronto a fare la differenza con il suo piede “latino” il Rasoio e futuro milanista Ray Wilkins, cervello e all’occorrenza uomo di fascia del Chelsea degli anni ’70, giocatore atipico per gli standard britannici (era un po’ compassato), ma comunque in grado di imporsi anche come titolare fisso in nazionale. Gustavo Poyet, motorino inesauribile, è un altro giocatore che un posto in lista deve trovarlo: alto, possente, fisicamente fortissimo e abile negli inserimenti, Poyet è uno dei perni della squadra che scala le graduatorie inglesi e internazionali tra anni ’90 e inizio del nuovo millennio. Indimenticabile, per i tifosi Blues, il gol con cui l’uruguaiano ha deciso la Supercoppa Europea del 1998.

Centromediano: N’Golo Kanté

La maglia dei Blues è stata indossata, nel nuovo millennio, da due fuoriclasse del ruolo di centromediano, o di centrocampista difensivo, e la scelta del migliore è stata ardua. Tirando le somme, ho deciso di incoronare Kanté, perché il suo contributo ad alcuni dei successi dei londinesi, non ultima la Champions del 2021, è degno di quello dei numeri dieci o dei bomber di professione. Kanté, in altri termini, è uno dei pochissimi mediani, anche se confinarlo nel ruolo è un po’ riduttivo, capaci di prendere tra le mani il primo violino della squadra. I ricorrenti guai fisici ne hanno penalizzato la continuità, ma l’uomo in grado di crossare per se stesso è stato il giocatore chiave del titolo del 2017 e soprattutto della Champions di quattro anni dopo, e nel frattempo si è regalato anche altre stagioni da campione. I suoi dieci polmoni e le sue più che buone qualità in fase di palleggio e di insermento mi inducono a preferirlo di un’inezia al suo precursore e gemello putativo Claude Makélélé, altro giocatore dotato di una resistenza quasi preternaturale e in grado di determinare, da solo, le sorti di un centrocampo, puntellandolo sino a renderlo inattaccabile. Titolare del Chelsea per diverse stagioni, Claude è stato anche e soprattutto il gemello di Frank Lampard e il pilastro della squadra che ha rovesciato le consolidate gerarchie della Premier nel 2005 e nel 2006. Sul terzo gradino del podio ecco Nemanja Matić, mediano capace di lunghe sventagliate, fortissimo fisicamente, altro scoglio in grado di arginare le iniziative avversarie e pilastro della squadra inglese per buona parte degli anni ’10.

Mezzala sinistra: Michael Essien

Mediano ma anche interno e giocatore universale, Essien è stato una forza della natura sul piano fisico e anche un discreto uomo gol – chi non ricorda il capolavoro contro il Barcellona nel 2009? – un portento limitato solo dai gravi infortuni subiti prima nel 2009 e poi, soprattutto, nel 2011. Negli anni migliori, in ogni caso, Michael era uno dei tuttocampisti più dotati in circolazione, si è guadagnato il premio di giocatore africano dell’anno e ha saputo essere un tassello essenziale del puzzle pensato e costruito da Mourinho negli anni zero. Meriterebbe di essere titolare tanto quanto Michael anche il leggendario John Hollins, uno dei giocatori più amati dai tifosi del Chelsea in tutta la loro storia, giocatore di garra e di qualità che veste la maglia blu in 592 occasioni, tra anni ’60 e ’80, e un guerriero bravissimo anche sotto porta e il leader della squadra che si fa conoscere dalle grandi d’Europa tra ’60 e ’70.
La terza alternativa è il piccolo, irreprensibile Dennis Wise, mediano scorbutico e ruvido, recupera palloni instancabile e anche giocatore dotato di discrete doti in fase di inserimento. Wise ha collezionato oltre 300 presenze e oltre 50 reti con la maglia dei Blues, e ha partecipato alla rinascita del club sul finire degli anni ’90, vincendo da titolare inamovibile la Coppa delle Coppe del 1998. Benché abbia convinto solo a tratti, il nostro Jorginho, specie per l’impeccabile contributo fornito nel 2021, un posto in panchina può ottenerlo.

Trequartista: Eden Hazard

Il lungo e malinconico crepuscolo di Madrid non deve cancellare quanto il prodigioso Eden ha dimostrato negli anni migliori della sua carriera, spesi a Londra. Hazard, a mio parere, è stato forse il talento europeo più cristallino della sua generazione, e con i Blues ha disputato almeno quattro stagioni da grande campione, vincendo due Premier League (e, nel primo caso, anche il titolo di calciatore dell’anno) e dimostrandosi decisivo anche in Europa League. Dribbling letale, sterzate improvvise, grande capacità di vedere il gioco e un fiuto del gol notevole hanno contribuito a rendere il belga uno dei giocatori più incisivi degli anni ’10. Alcuni decenni prima di lui, la palma di fromboliere e uomo-assist della squadra era stata nelle mani di Charlie Cooke, soprannominato Bonnie Prince, l’uomo capace di inventare giochi di prestigio e il maggior talento del Chelsea che si conquista un posto tra le grandi a cavallo tra sixties e seventies. Sul terzo gradino del podio a mio avviso sale Juan Mata, per tre anni uno dei giocatori più amati a Stamford Bridge, trequartista, ala o seconda punta dotatissima sul piano del palleggio e abile sui calci piazzati, forse il leader tecnico del Chelsea che vince l’Europa League del 2013 e uomo in grado di fornire un contributo importante anche alla Champions 2012.

Attaccante: Gianfranco Zola

Chiaramente Magic Box non poteva essere escluso dalla formazione titolare e infatti eccolo qui, schierato come seconda punta per coesistere al meglio con Hazard. La scatola magica dei trucchi di Gianfranco conteneva un repertorio sterminato di dribbling, finte, punizioni esemplari e assist al bacio, e Zola ha portato il Chelsea tra le grandi, anche in Europa, affermandosi come uno dei massimi talenti del calcio inglese e venendo riconosciuto, nel 1997, come il numero uno della Premier League. Fisicamente molto diverso da Zola, ma in grado di fare la differenza anche in progressione, oltre che per l’abilità nel gioco aereo, Kerry Dixon figura stabilmente tra i più prolifici cannonieri britannici degli anni ’80 ed è ancora oggi uno dei giocatori più amati nella storia del Chelsea.

Attaccante: Didier Drogba

Sul piano strettamente tecnico, è probabile che James Greaves, l’eccentrico cavallo pazzo e bomber passato anche da Milano, sia stato il giocatore più forte che abbia mai indossato la maglia dei Blues. La sua lunga militanza con il Tottenham, tuttavia, mi induce a preferirgli nel ruolo di titolare Didier Drogba, centravanti fisicamente incontenibile, l’uomo dei gol pesanti e il trascinatore dei londinesi verso la coppa più improbabile e bella della loro storia. Didier era un leader e un giocatore in grado di fare reparto da solo, mentre Greaves era straordinario soprattutto in progressione e aveva probabilmente un fiuto del gol superiore, come documentano i suoi 132 gol in 169 partite. Impossibile, infine, non fare il nome di Peter Osgood, eroe del Chelsea operaio che vince la Coppa delle Coppe – trofeo di cui sarà anche capocannoniere nel 1972, classico e poderoso centrattacco inglese tutto corsa, forza fisica e gioco aereo, e simbolo del Chelsea per dieci lunghi anni.

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