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Il calcio totale del Danubio: tra Jimmy Hogan e… l’Hakoah

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Immagine di copertina: Jimmy Hogan insegna calcio

Hakoah, in ebraico, vuol dire potere o forza. E sicuramente lo spirito battagliero fu uno dei capisaldi della formazione viennese. D’altronde una delle prerogative del “Giudaismo muscolare” di Max Nordau era proprio quella di creare atleti ebrei che sul piano della potenza fisica e della resistenza alla fatica nulla avevano da invidiare agli altri. L’Hakoah Vienna però fu molto di più di una squadra tutto muscoli, sostanza e atletismo. Era un complesso armonico che primeggiava per doti tecniche e stile di gioco. 

All’indomani del 5-0 contro il West Ham a Londra, che consacrò l’Hakoah nel firmamento internazionale, prima formazione continentale a espugnare il suolo britannico, il Daily Mail scrisse: «Questo è calcio scientifico. Nessuna esibizione di forza bruta, no kick and rush. L’Hakoah ha uno stile speciale, uno stile da cui le nostre squadre potrebbero solo imparare. Ha giocato perfettamente di squadra evitando passaggi lunghi. Ha esibito scambi al centimetro ed un eccellente uso degli spazi, oltre ad una grande capacità di muovere il pallone». Erano i principi di quel Donaufussball che qualche anno dopo avrebbe reso grande il Wunderteam austriaco, partorito non a caso dalla mente di un altro geniale ebreo, Hugo Meisl

Gli ebrei del Danubio furono i padri degli olandesi degli anni ’70. Furono i primi in Europa a proporre un modo di fare calcio che si discostava totalmente dalla rigida fissità schematica degli inglesi. Nelle coffee house di Vienna e Budapest, frequentate da borghesi e intellettuali in parte di origine ebraica, si fece strada l’idea di un football differente dove le giocate individuali erano messe al servizio di un progetto condiviso, basato su triangolazioni nello stretto, scambi di posizione tra i giocatori, movimenti sistematici senza palla. In pratica, il totaalvoetbal di marca olandese con qualche decennio di anticipo. Ulteriore dimostrazione di come la storia, compresa quella del calcio, non presenti quasi mai cesure nette. È un’evoluzione fluida, un tassello che si incastra a quello successivo in modo congruente. Anche allenatori definiti rivoluzionari o visionari poiché portatori di idee teoricamente mai sperimentate prima nella maggioranza dei casi hanno preso spunto da esperienze precedenti. Non sono tanto le idee a essere nuove, quanto i contesti in cui vengono sviluppate.

Fondamentale fu il lavoro di alcuni tecnici britannici, che basandosi sui principi del passing game scozzese, insegnarono ai mitteleuropei ad affinare il controllo di palla, le doti tecniche, a sviluppare una ragnatela di passaggi corti e veloci e una manovra corale ed efficace. Mentre in Sudamerica si percorse maggiormente la strada dell’inventiva individuale senza briglie tattiche sul collo, nella Mitteleuropa si seguì una via differente: l’aspetto basilare era sempre il controllo del pallone, ma il passaggio era più importante del dribbling e le capacità del singolo dovevano rispondere a un copione prestabilito e preordinato.

Dalla Gran Bretagna con furore

Una figura di Arthur Gaskell da giocatore [www.vintagefootballers.com]

In Austria e in Ungheria (ma non solo, anche in Germania e in Olanda) l’uomo che diede il là a questa impostazione fu sempre lo stesso: Jimmy Hogan. Originario di Nelson, una cittadina nel Lancashire, Hogan era arrivato per la prima volta in Europa nel 1910 per disputare una tournée da calciatore del Bolton. Nel calcio continentale intravide da subito la possibilità di sperimentare il suo credo, che era basato sui principi dello stile scozzese – gioco corto, passaggi rasoterra, sviluppo della tecnica – ed era poco apprezzato dai suoi connazionali (gli inglesi, come detto, prediligevano di più un calcio fisico, atletico e potente).

Fu Hogan a costruire di concerto con Hugo Meisl l’epopea del Wunderteam. E fu sempre Hogan a consigliare all’Hakoah, che aveva tentato vanamente di ingaggiarlo, Arthur Gaskell. I due si conoscevano dai tempi del Bolton e condividevano la filosofia del passing game. Gaskell aveva già lavorato a Vienna, poi era emigrato in Russia, diventando il primo tecnico inglese ad allenare a Mosca. Nel 1921 in seguito alla statalizzazione dello sport da parte dei sovietici, accettò la chiamata dell’Hakoah. A dire la verità, il club viennese aveva già tentato di percorrere la strada degli allenatori britannici qualche anno prima. Nel 1911, quando l’Hakoah navigava nelle perigliose acque delle divisioni inferiori, il presidente Arthur Baar insieme ai dirigenti Ignaz Hermann Körner ed Eugen Eisler aveva ingaggiato il 28enne Lewis.

Il tecnico godeva di ottime referenze, ma bastarono alcuni allenamenti e partite per capire che la sua conoscenza del football era piuttosto rudimentale e di certo se l’Hakoah intendeva crescere e diventare una potenza del panorama austriaco non poteva affidarsi a lui. Il caso di Gaskell era completamente diverso: la raccomandazione di Hogan rappresentava il miglior biglietto da visita possibile. Quando sul finire degli anni ‘30 l’allenatore ebreo-ungherese Izidor Dori Kürschner si presentò in Brasile per guidare il Flamengo, molti storsero il naso perché era un perfetto sconosciuto. Ma non appena si seppe che aveva lavorato a stretto contatto con Hogan nello staff della Svizzera, medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1924, qualsiasi dubbio sul suo valore venne dissipato: la fama di Hogan era nota anche dall’altra parte dell’oceano.

3 – Continua

Izidor “Dori” Kürschner, allenatore ebreo-magiaro allievo di Hogan

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