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Tra calcio e basket: da Nash-Xavi a Bird-Cruijff

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Ecco la seconda puntata del gioco delle somiglianze nella sua versione più astratta, che richiede un notevole sforzo di immaginazione da parte dei lettori e degli appassionati.

Steve Nash e Xavi Hernández

A inizio anni 2000, un regista anglo-canadese inizia a fare qualche apparizione agli All Star Game, grazie a una velocità di pensiero fuori dal comune e a due mani che sono capaci di qualsiasi prodezza, specie nel palleggio e nell’assist. Fino all’estate del 2004, tuttavia, questo piccolo regista canadese (piccolo per la NBA, con i suoi 180 cm o poco più) non pare destinato a una carriera leggendaria: grande talento, tra i migliori nel ruolo della sua generazione, ma non un fenomeno che possa dare del tu a registi come Magic Johnson o Isiah Thomas.

Nel 2004 però qualcosa cambia, Steve Nash sembra montare la marmitta truccata e per tre stagioni fa il vuoto, imponendosi non come il giocatore più forte e completo del mondo, ma probabilmente come quello più importante, tanto da portarsi a casa due premi di MVP (per capire di cosa stiamo parlando, Kobe Bryant e Kevin Durant ne hanno vinto uno a testa).

Nash in quelle stagioni ha letteralmente le visioni, trasforma in maniera radicale lo stile di gioco dei Phoenix Suns ed è considerato a ragion veduta il precursore del basket moderno: la Small Ball Basketball di cui si parla da diversi anni è soprattutto farina dei sacchi di Nash e di Coach D’Antoni; il duo impone su scala planetaria una pallacanestro in cui la velocità di circolazione della palla e la tecnica (individuale e di squadra) diventano più importanti della mole, ponendo fine all’epoca dominata dai grandi centri. Vedo diverse analogie con Xavi, campione ragazzino che tuttavia diventa uno dei massimi centrocampisti di sempre soprattutto nella fase della carriera in cui lui è l’archè da cui scaturisce un modo nuovo di pensare il calcio (un modo affonda le radici nel passato, ma che rappresenta pur sempre una novità nel momento in cui matura definitivamente). Se Nash sfiora traguardi importanti ma non li ottiene, Xavi si colloca addirittura un gradino sopra il fuoriclasse anglo-canadese perché vince ogni tipo di trofeo da assoluto protagonista, tanto che non sarebbe blasfemo reputarlo il miglior giocatore di regia mai apparso sulla Terra.

Larry Bird e Johan Cruijff

Prima di LeBron James, il biondissimo Larry Legend, proveniente da una famiglia di origini nordeuropee dell’Indiana, ha imposto un nuovo paradigma di ala piccola: giocatore di statura superiore ai due metri, Bird è stato un fuoriclasse universale, un tiratore con pochi precedenti, un ottimo difensore, un grande passatore, un leader a tutto campo, tanto che ancora oggi figura ai vertici di numerose graduatorie che in NBA hanno un certo peso (assist, punti, rimbalzi etc..).

Bird non dura moltissimo, ma negli anni migliori fa il vuoto ed è l’uomo cardine di uno dei cicli più spettacolari e vincenti della storia. Solo LeBron, tra i suoi eredi, l’ha superato muovendosi all’interno del medesimo perimetro, quello dei fuoriclasse proteiformi.

Il giocatore che più ha avvicinato la figura di Bird su un campo di calcio è a mio parere Johan Cruijff, anche per ragioni simboliche ed etnografiche (l’unico bianco che si accomoda tra gli eletti in NBA e, nel calcio, forse l’unico giocatore del nord Europa che fa la stessa cosa). Anche Cruijff non dura moltissimo, ma è l’universale più grande mai apparso in un campo di calcio dopo Di Stéfano, e per qualche anno ridefinisce il significato di fuoriclasse deputato a trasformare la squadra quasi in ogni zona del campo.

Tracy McGrady/ Allen Iverson e Neymar

Flavio Tranquillo, chiamato a pronunciarsi su T Mac, ha speso queste parole: che gli sia mancato qualcosa per diventare un grandissimo è sotto gli occhi di tutti, dire cosa gli sia mancato è più difficile; probabilmente, gli sono mancati un po’ la salute e un po’ quello che Coach Popovich definisce con due lettere “It”, cioè la capacità di migliorarsi, di essere sempre sul pezzo, di possedere la cattiveria giusta nel momento giusto. Perché, per il resto, aveva tutto quello che serve per essere un fenomeno, anzi forse aveva pure troppo.

Le parole del grande cronista sportivo per me descrivono anche la figura di Neymar, pur con qualche accorgimento: McGrady non ha mai superato un turno ai playoff ed è rimasto nel limbo dei talenti fenomenali e inespressi, Neymar ha invece vinto da protagonista una Libertadores a 19 anni e una Champions a 23, ha trascinato il PSG a traguardi ragguardevoli in Europa e anche in nazionale ha saputo caricarsi una squadra spesso non eccezionale sulle spalle. Perché, quindi, rimane parzialmente un incompiuto? A mio avviso, perché si è rotto spesso nel momento chiave della stagione ma soprattutto perché uno con il suo talento avrebbe dovuto accomodarsi in mezzo agli alieni, e invece non l’ha fatto ed è rimasto un bel passo indietro. Tuttavia, proprio perché Neymar non ha difettato dell'”It” tanto quanto McGrady, per tradurne la figura in un giocatore di NBA ho evocato anche The Answer Allen Iverson, un freak della natura capace di imprese titaniche, un personaggio fuori dalle righe, un anarchico cui doveva essere concessa ogni libertà. Anche Iverson ha mancato il bersaglio grosso, ma c’è andato vicinissimo nel 2001 (con quella che per molti è la squadra più scarsa ad aver mai disputato una finale NBA) e ha dimostrato di saper alzare l’asticella nei momenti caldi, almeno in certe occasioni, così come è riuscito a Neymar (penso a Barcellona-PSG 2017, ad alcuni capolavori di arte astratta delle Champions 2020 e 2021, che sono quasi la summa della sua carriera, con pregi e difetti).

Tim Duncan e Franz Beckenbauer/ Zinédine Zidane

La chiave del mio successo? Scegliere Tim Duncan al draft. Poi rimanere vivo e vegeto“. Questa le parole di Popovich in merito al giocatore chiave della sua carriera di allenatore (leggendaria), e in effetti qualcuno per Tim Duncan ha scomodato l’acronimo GOAT, negli ultimi anni, non senza qualche fondamento. Duncan è stato forse il miglior difensore di sempre, non tanto nell’uno contro uno ma come impatto sulla difesa, specie nel pitturato, nonché per le doti di regista difensivo. In più, pur collezionando numeri tutto sommato normali quanto a punti e assist, Duncan ha saputo alzare come nessun altro forse l’asticella quando la temperatura saliva e la posta in palio iniziava a scottare: due volte miglior giocatore della stagione regolare, ma soprattutto tre volte miglior giocatore delle finali, cui si aggiungono altri due titoli vinti in tarda età e nell’incredulità generale – il tutto per cinque anelli, che sarebbe stati sei senza il famoso canestro all’ultimo secondo di Ray Allen – lo specialista che ha Game. Per traslitterare Duncan su un campo di calcio devo scomodare il Kaiser Beckenbauer, simile nella testa da vincente, nella longevità ma anche nella leadership silenziosa e nei modi austeri, e forse anche il sublime Zizou, l’uomo delle finali e dei grandi tornei, decisivo su tale fronte anche in età avanzata (Zidane nel 2006 assomiglia un po’ a Duncan nel 2014).

Stephen Curry e Lionel Messi

Nel corso delle stagioni 2014/2015 e 2015/2016 ho letto su vari quotidiani sportivi articoli in cui si ipotizzavano analogie tra questi due fenomeni, quindi in questo caso devo inventarmi poco: stessa meravigliosa disinvoltura con la palla, stessa capacità di segnare un’epoca (è opinione diffusa che Curry abbia cambiato il basket, e per me l’ha fatto in parte anche Messi con il calcio), stesso talento che proviene dalla stratosfera (velocità di esecuzione e naturalezza incomparabili), e un carattere un po’ riservato, non esattamente da star, che forse li penalizza in alcuni momenti caldi. Grazie all’ultima stagione, sono in pochi a dubitare che Curry meriti di accomodarsi tra i mostri sacri, ma proprio nelle posizioni di immediato rincalzo rispetto ai marziani Jordan & Lebron; su Messi è invece vietato sollevare obiezioni: è un Curry più precoce e ancora più vincente.

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