Un’altra esplorazione del mondo nelle somiglianze.
Trent Alexander Arnold – Manfred Kaltz
Il giocatore chiave del Liverpool – sgancio la bomba, ed è una bomba che ho confezionato con intenzioni polemiche – secondo me è il laterale destro Alexander Arnold, per qualche giorno mi sono grattato la testa alla ricerca di un giocatore che potesse in qualche modo somigliargli, finché non mi è venuto in mente Banane Flanke, al secolo Manfred Kaltz. Si parla di due laterali completi e dotati di una gamba eccezionale, la cui arma segreta è però la capacità di scodellare cross a getto continuo, e di crossare con una precisione chirurgica, come se ci fosse un joystick che manovra il loro piede destro.
Ederson Moraes – Jan Jangbloed
Due portieri che per i tifosi italiani, tra i più tradizionalisti in assoluto, sono un enigma – a volte comico, a volte drammatico – perché non parano ma lanciano e fraseggiano. Non è un caso se entrambi si sono integrati al meglio in due squadre totali, poi credo che Ederson sia comunque un estremo difensore passabile anche in senso classico (per quanto non ci metta mai una pezza, davvero mai) mentre il folcloristico tabaccaio olandese, l’idolo della curva più matta d’Europa, era davvero una sorta di simpatico soprammobile – a suo modo, però, funzionale.
John Robertson – Antonio Cassano
Qui alzo la posta in palio e mi rendo conto di forzare le maglie del ragionamento, ma in un giochino bisogna anche esporsi: l’ala/fantasista scozzese era uno dei talenti più fulgidi della sua generazione, almeno in Gran Bretagna, ma prima della cura dimagrante di Brian Clough era un mezzo incompiuto, capace di alternare colpi di genio a lunghe scene mute. Dopo la cura Clough, Robertson è decisivo ai fini di due Coppe dei Campioni, e scusate se è poco. Cassano è stato un po’ il nostro John Robertson, ancora più talentuoso e con doti tecniche soprannaturali, e capace di riscattare con qualche lampo anche internazionale una carriera di alti e bassi, ma senza il grande acuto che ha nobilitato la carriera dello scozzese.
Jorge Valdivia detto il “Mago” – Jorge Alberto González Barillas detto il “Magico”
Tommaso Ciuti, quando mi vede brillare gli occhi mentre evoco le gesta di giocatori come il Mago e il Magico, parla di poesia senza regole, e ha ragione. Un giocatore del tutto anacronistico e di categoria si vendica contro la Storia disputando diversi tornei memorabili con la maglia della Roja, tra i quali spicca una Coppa America vinta da giocatore chiave, mentre il Magico suscita l’invidia di un certo Diego Maradona, sul piano tecnico, e poi trascorre la carriera a Cadice e sembra un personaggio uscito dalla penna di Federico García Lorca, il più grande cantore delle malinconie andaluse. Gente così può nascere e affermarsi solo in quell’angolo del mondo che si chiama America del Sud, con tutte le sue follie e contraddizioni: tecnica fuori gara, estro che sbuca da ogni poro della pelle, e però troppi altri limiti per imporsi davvero in un calcio in cui la dimensione agonistica e la continuità sono requisiti essenziali.
Frank Rijkaard – Yaya Touré
Vi anticipo: credo anche io che il colosso olandese sia stato un giocatore superiore al pur grandissimo Yaya. Però se c’è stato qualcuno negli ultimi vent’anni in grado di reggere il confronto, sul piano della tipologia, con il fenomeno olandese, credo sia proprio Touré, un atleta titanico che vince una Champions adattato a stopper, domina la Premier come giocatore totale che spesso si muove da trequartista ed è uno dei mediani più dotati della sua epoca. Rijkaard aggiungeva a tutte queste doti una tacca e una capacità più unica che rara di fare la differenza con la palla che scotta.