La stagione 1956-57 iniziò con un unico grande quesito: come fermare la Fiorentina? I campioni d’Italia infatti avevano dominato la stagione appena conclusa ed erano considerati ampiamente ancora i favoriti per il bis titolate, ma le grandi città del calcio italiano non avevano intenzione di lasciare il Tricolore in Piazza della Signoria. Inter e Juventus cercarono di elevare il valore delle proprie squadre facendo diversi acquisti, ma alla fine fu il Milan a uscirne meglio di tutti. In Coppa dei Campioni poi i toscani arrivarono fino alla finale e questo divenne un piacevole e gradito regalo per i rossoneri.
Il cammino dei campioni
Il pesante distacco subito nella stagione precedente in favore della Fiorentina aveva portato la dirigenza del Milan a rivoluzionare la squadra portando nel capoluogo lombardo una serie incredibile di giocatori al nuovo tecnico Gipo Viani. I cambiamenti sono di quelli importanti e a essere modificato da cima a fondo fu l’attacco che vide gli addii non solo di Ricagni e Frignani, rispettivamente a Torino e Udinese, ma soprattutto il Pompiere GunnarNordahl decise di andare alla Roma.
A tenere insieme la nave vi erano i comandanti Liedholm e Schiaffino, diventati ancora più punto di riferimento in una situazione di così grande rinnovamento e gli innesti fecero storcere un po’ il naso. Il colpo grosso avrebbe dovuto essere l’esterno Walter Gómez dal River Plate ed era ormai tutto fatto se non fosse che l’argentino non poté dimostrare le sue origini italiane e quindi superava il numero di stranieri consentito di due, per la presenza di Liedholm e il nuovo arrivo dall’Udinese Per Bredesen. L’esterno se ne andò così al Palermo senza grossa fortuna, ma Rizzoli voleva a tutti i costi il suo laterale dal Sudamerica e se con il River era andato male perché non provare con il Boca Juniors?
Ernesto Cucchiaroni aveva nel cognome le sue origini del Belpaese, ma il Presidente rossonero fece ancora di più portando in Federazione una modifica del regolamento sugli stranieri permettendo così a Liedholm di essere riconosciuto come “italiano” in quanto tesserato in Serie A da più di cinque anni. Ci volle del tempo prima di vedere Tito in prima squadra perché non fu immediata la nuova legge, ma a ben vedere il cambio fu più che lungimirante. Vi era bisogno però anche di gente pronta nell’immediato e così arrivò dalla Roma il cannoniere Carlo Galli e dal Piacenza il giovane Gastone Bean, vera rivelazione del torneo. Al centro della difesa venne acquistato dall’Atalanta il mastino Giovanni Zannier, in posizione leggermente più avanzata rispetto a Liedholm che venne arretrato nel ruolo di libero, e in porta arrivò dalla Triestina Narciso Soldan, elemento che doveva essere semplicemente la riserva di Lorenzo Buffon ma che fu sempre molto apprezzato da Viani.
La stagione non iniziò con un gioco brillante e scintillante della squadra, ma almeno nelle prime giornate i risultati arrivavano. Schiaffino riuscì a evitare la sconfitta interna contro la Triestina grazie a una doppietta, mentre nella trasferta di Bologna ci pensarono Bredesen e Galli a rendere vana la rete emiliana, prima che Mariani timbrasse il successo per 1-0 interno contro il Palermo. Tre vittorie consecutive all’inizio è sempre un buon modo per presentarsi nella nuova stagione, eppure qualcosa in quel Diavolo non stava funzionando a dovere e i limiti divennero evidenti la settimana seguente. A Milano arrivò il Napoli che disputò una delle più grandi partite della propria storia, annichilendo i padroni di casa e portandosi addirittura sull’incredibile risultato di 0-5 nel solo primo tempo.
Una vera e propria catastrofe, parzialmente rimediata nella ripresa con tre reti che ebbero solo il compito di rendere meno amaro il passivo, ma la botta era stata pesante e in questa partita perse il posto da titolare Buffon. All’Appiani di Padova arrivò infatti la seconda sconfitta consecutiva con un pesante 2-0 portando la squadra al quinto posto con due punti di ritardo dalla strana coppia di testa formata da Sampdoria e Napoli. Milano stava vivendo un periodo complicato, perché se il Milan non era in salute non andava molto meglio all’Inter e il derby del 21 ottobre fu molto simile al classico scontro della paura, dove diventa molto più importante non perdere. Così dopo il vantaggio nerazzurro firmato da Pandolfini ci pensò Bredesen a pareggiare immediatamente i conti permettendo così di far terminare la stracittadina con un 1-1 che serviva a poco a tutte e due. Dopo questo disastroso filotto di risultati, la trasferta di Firenze non poteva che arrivare in un momento peggiore, anche se nemmeno i viola stavano brillando di luce propria, con un solo punto di vantaggio sui rossoneri.
Al Comunale però erano in pochissimi a credere a una possibile vittoria del Diavolo che quel giorno iniziò a mettere le basi per la sua straordinaria cavalcata. Viani doveva fare ancora una volta a meno di Liedholm, così fu Zannier a essere schierato come libero al centro della difesa, con Beraldo schierato come stopper e con Bergamaschi a coprire Schiaffino sublime rifinitore delle punte. La Fiorentina venne completamente intrappolata dalla tattica del Milan e già nel primo tempo passò in svantaggio in seguito all’autorete di Rosetta e nella ripresa fu il crollo. Schiaffino seguí perfettamente un’azione dalla destra e di testa segnò la rete del raddoppio e a chiudere i conti ci pensò una perfetta cannonata di Bean al termine di una splendida ripartenza.
La vittoria aveva un’importanza incredibile, perché da quel momento cambiò completamente la storia della Serie A di quell’anno. I lombardi presero fiducia nei propri mezzi e si sbarazzarono senza problemi per 2-0 a domicilio dell’Udinese, prima di affrontare l’insidiosissima trasferta di Torino contro la Juventus. Gara complicata e poco spettacolare che si stava trascinando sullo 0-0 ormai fino alla fine della partita, ma proprio quando tutto sembrava deciso ecco che da una palla morta in area di rigore a quattro minuti dalla fine capitò a Bredesen la palla della vittoria e con un perfetto destro all’angolino Vavassori per lo 0-1 che regalava i due punti d’oro che valevano il primo posto solitario con un punto di vantaggio su Sampdoria e Fiorentina, e da quel momento non venne più abbandonato.
A risultare come sempre molto insidiosa fu la trasferta di Bergamo contro l’Atalanta, dove il Diavolo non andò oltre il pareggio con i vantaggi di Cucchiaroni e Bean che vennero sempre rinomati e fu da cardiopalma la grande rimonta nel secondo tempo a San Siro contro la Lazio, con Cucchiaroni e Galli autori di due reti fondamentali che valsero il successo per 3-2. Tutto stava andando secondo i piani, anche se qualche incertezza vi era ancora nell’undici di Viani che dovette prendere ancora l’ultima batosta prima di lanciare la fuga verso il Tricolore. La Sampdoria era la grande rivelazione di quell’annata e quel giorno al Ferraris fu Oliviero Conti il meraviglioso protagonista di giornata, capace di segnare una memorabile tripletta che superò un inerme Soldan e a nulla servì la riscossa negli ultimi minuti perché non bastarono le reti di Bean e Schiaffino per tornare a casa con dei punti.
Ad approfittarne fu l’Inter che agganciò i cugini, ma solamente per una settimana. Già nel turno seguente infatti il Diavolo tornò alla vittoria contro l’altra genovese, con Schiaffino autore di una splendida doppietta, chiudendo così nel migliore dei modi il 1956 mentre i nerazzurri caddero in trasferta a Udine. Il nuovo vide il Milan sempre più convinto dei propri mezzi e sicuro di poter ammazzare il campionato e così fece già nelle ultime quattro gare del girone. Soltanto la trasferta di Roma con i giallorossi terminò a reti inviolate, mentre per il resto arrivarono tre vittorie prorompenti con ben dieci gol realizzati contro Torino, Spal e Vicenza, con tutto l’attacco protagonista capace di interscambiarsi nel migliore dei modi.
Il Milan stava volando, mentre alle sue spalle tutte le principali rivali avevano subito una pesante flessione, tanto che il titolo di campione d’inverno arrivò con prezioso vantaggio di ben quattro punti sulla Fiorentina seconda e addirittura cinque sulla disastrata Inter terza. Era ancora lontana la fine del campionato, ma ormai in tanti avevano già capito chi sarebbe cucito lo Scudetto sul petto.
L’aria di ritorno al titolo dopo un breve
interregno della Fiorentina sembrava ormai a un passo e il Diavolo si rese conto che sarebbe stato l’inverno il suo miglior alleato verso il successo. Il trionfo per 1-3 in casa della Triestina, grazie a una magistrale doppietta di Bean, non fu solo che la prima di un memorabile inizio di ritorno che proseguì con altri quattro punti pieni ottenuti affossando prima il Bologna a San Siro e poi il Palermo in Sicilia. Il protagonista di questa corsa verso l’oro fu proprio quel Bean arrivato con tanto scetticismo in estate e con il Napoli andò in rete per la quinta partita consecutiva. Contro gli azzurri, i rossoneri volevano a tutti i costi rifarsi dopo il pesante passivo subito all’andata ma non bastarono le reti di Galli e dell’ex Piacenza per imporsi sotto il Vesuvio, perché Vinício piazzò ancora una volta la doppia zampata.
Curiosamente furono ancora i partenopei a costare la titolarità della porta, perché esattamente un girone dopo anche Soldan riperse il posto da titolare per un Buffon che non lo lasciò più. Il distacco divenne enorme in seguito al bel 2-0 casalingo sul Padova firmato da Galli, con la Fiorentina nuova seconda che scese a ben sette lunghezze di distanza e l’unica speranza di riapertura del campionato sarebbe stato il doppio scontro diretto con Inter e proprio viola. I nerazzurri avevano pagato un andamento davvero troppo scostante e il terzo posto a otto punti dai cugini rappresentava un divario troppo grande per essere colmato, ma il derby doveva rappresentare un parziale riscatto.
A passare in vantaggio fu però la capolista con Bean che appena entrato in area di rigore fece partire un perfetto destro che si infilò all’angolino imparabilmente per Matteucci, ma la Beneamata non volle mollare. Fu Invernizzi a trovare la via del pareggio a fine primo tempo salvando l’onore e rallentando il Diavolo, ma i gigliati non ne approfittarono pareggiando solamente a Bologna. L’ultima chiamata del campionato era datata 17 marzo 1957 con lo scontro diretto che ricordava molto quello disputato solamente dodici mesi prima, solamente a schieramenti invertiti. La Fiorentina aveva ormai puntato tutto sulla Coppa dei Campioni e solo una vittoria avrebbe potuto parzialmente ridare senso a un campionato che quel giorno incoronò la propria regina.
La rincorsa del Milan al Tricolore era iniziata proprio a Firenze e la degna conclusione fu l’assoluto dominio di SanSiro con Liedholm e Schiaffino assoluto padroni e dominatori del centrocampo che permisero a Carlo Galli di esaltarsi in due occasioni, una per tempo. Furono molto simile le sue segnature, entrambe dopo aver vinto un rimpallo con difensori toscani e poi non appena entrato in area di rigore, diventando freddo e glaciale per battere due volte un Sarti impossibilitato a intervenire. Il 2-0 di Milano portò il distacco addirittura a nove punti e a dieci giornate dal termine risultava veramente difficile pensare a qualsiasi rimonta dalle retrovie, considerando anche la scarsa continuità di viola e Inter. I rossoneri iniziarono così a controllare, esaltandosi in casa e snobbando molto di più le trasferte, come successe già la settimana seguente con l’ex Frignani che divenne fatale nella sconfitta di Udine.
A riportare il tutto alla normalità ci pensò la sempre affascinante sfida contro la Juventus, anche se i bianconeri avevano vissuto una stagione a dir poco disastrosa rimanendo costantemente a centro classifica. Il fascino della sfida però fece sì che i ragazzi di Viani rimasero sul pezzo e concentrati dall’inizio fino alla fine e fu goleada. A sbloccare la contesa fu uno straordinario destro da fuori area di Emiliano Farina, schierato al posto di Bean, e a inizio ripresa furono Galli, su errore in uscita di Viola, e Bredesen, di testa, a portare addirittura a tre le segnature del Diavolo. Ci fu gloria anche per Liedholm, solito cecchino dagli undici metri e la rete di Conti nel finale fu solamente valida per le statistiche perché certamente non riuscì a rialzare il morale di una Signora ferita. Da un poker a un altro, perché San Siro vide cadere sotto quattro reti anche un’Atalanta alla ricerca di punti salvezza, ma dopo le grandi scorpacciate arrivò ancora il mal di trasferta che portò con sé una pesante sconfitta romana contro la Lazio per 3-0. La Fiorentina aveva accorciato portandosi a sei punti di ritardo, ma a sei giornate dalla fine erano ancora davvero troppi per sperare.
La Sampdoria provò il secondo scherzetto cercando la vittoria a che in trasferta con la rete di Firmani, ma Bean e Farina risistemarono le cose e fu ancora il giovane ex Piacenza a decidere la trasferta genovese contro il Grifone. I Viola intanto persero un punto a Trieste e a Torino il Milan ebbe la prima occasione per chiudere il campionato. Era il 19 maggio 1957 e i granata volevano completare la loro grande stagione con un successo di prestigio contro quelli che ormai erano pronti a cucirsi un altro Tricolore sul petto. Nel primo tempo le belle notizie per i ragazzi di Viani arrivavano da Firenze, perché i padroni di casa erano passati incredibilmente in svantaggio contro l’Atalanta per merito della rete di Mion e quel risultato avrebbe garantito il titolo.
I piemontesi però capirono la tensione dei rivali e ne approfittarono a metà ripresa con un uno-due che sembrò terribile, dettato dai gol di Arce e Jeppson. Al Comunale il risultato non stava cambiando, ma vincere e festeggiare con una sconfitta non è mai piacevole e così il Diavolo si rimboccò le maniche per disputare dieci minuti da urlo e con Farina e Bean che trafissero Rigamonti per il 2-2 finale che diede il via al trionfo. Per la sesta volta nella propria storia il Milan si era laureato campione d’Italia, la terza negli ultimi sette anni, dimostrazione di un lavoro costante e lungimirante che aveva riportato i rossoneri finalmente costantemente ai vertici della Serie A. Nelle ultime tre partite il Milan salutò il proprio pubblico con un bel 3-1 sulla Roma, prima di lasciare spazio alla provincia con due sconfitte con Spal e Vicenza.
La formazione
Lo sforzo economico in estate del Presidente Rizzoli non era stato per nulla minimo e GipoViani aveva un bella gatta da pelare. Quando infatti si cambia tanto è molto difficile avere fin da subito un rendimento da titolo, ma dopo l’inziale sbandamento il Milan divenne la dominatrice del campionato. Non ci fu mai una vera e propria formazione tipo, vera anomalia per il periodo e anche in porta si alternarono Lorenzo Buffon e Narciso Soldan, con entrambi protagonisti di ottimi interventi e inspiegabili blackout.
La novità tattica fu però in difesa con Nils Liedholm che venne arretrato al centro della retroguardia con il ruolo di libero capace di impostare il gioco da dietro e davanti a lui divenne fondamentale lo stopper Luigi Zannier, nuovo acquisto dall’Atalanta, che giocò sempre risultando determinante nella retroguardia rossonera e capace di legare con il centrocampo. I terzini videro prevalentemente la scelta di CesareMaldini a destra e Eros Beraldo a sinistra, ma uno dei titolari inamovibili fu il vero jolly della difesa. Alfio Fontana infatti giocò tutte e trentaquattro le partite, ma senza mai avere un ruolo puramente definito, inserito all’occorrenza al posto di uno dei tre della linea difensiva, con l’importante utilizzo anche di Francesco Zagatti.
A rafforzare ancora di più la fase di rottura c’era Mattia Bergamaschi, autentico faticatore che permise agli interni di dedicarsi alla fase offensiva. Chiaramente ogni pallone passava sempre dall’estro geniale di PepeSchiaffino, mentre al suo fianco si alternarono il norvegese Per Bredesen, svariate volte schierato anche come ala sinistra, e Carlo Galli, spesso utilizzato anche come centravanti. A completare il terzetto d’attacco, oltre a questi due, vi erano l’intoccabile Mariani, poco goleador, ma tornante fondamentale a tutto campo, GastoneBean, autentica rivelazione del campionato, e Tito Cucchiaroni che visse poco quello Scudetto a causa di problemi legati al tesseramento, ma che mostró già il suo talento.
Il capocannoniere
In una squadra estremamente attenta alla fase difensiva e al collettivo non era semplice per un singolo giocatore diventare il cannoniere con ottimi numeri, soprattutto se tutti a inizio anno ti consideravano una sorta di oggetto misterioso. Gastone Bean aveva debuttato tra i grandi del calcio solo l’anno prima in C1 con il Piacenza, ma tenendo medie incredibili con ventitire reti in ventuno partite, e così il Milan decise di richiamarlo alla base. Per questo motivo non partì titolare, ma quando iniziò a scendere in campo divenne insostituibile, andando a segno per la prima volta nello scontro diretto con la Fiorentina. Replicó già la settimana seguente con l‘Udinese e divenne fondamentale a Bergamo trovando nel finale la strada del pareggio.
Proseguì il suo momento d’oro con le reti a Lazio e Sampdoria, quest’ultima non riuscendo a evitare la sconfitta, prima di aprire il 1957 con i gol a Torino e Vicenza. Proprio dalla gara con i veneti iniziò a volare, trovando il gol per cinque partite consecutive, grazie alla doppietta alla Triestina e alle reti con Bologna, Palermo e Napoli. Fu determinante per il pari nel derby di ritorno con l’Inter e dopo un infortunio che ne limitò il rendimento tornò per il gran finale, diventando l’uomo dello Scudetto, segnando nelle ultime partite con Sampdoria, Genoa e trovando il pareggio nel giorno della festa contro il Torino. Salutò il suo pubblico con la rete alla Roma, la diciassettesima e ultima di una stagione per lui memorabile.