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Torino 1948-49: la Tragedia di Superga e gli Invincibili diventano mito

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Quello che ha rappresentato il Torino per l’Italia alla fine degli anni ’40 fu molto di più di una semplice squadra leggendaria, capace di imporre un vero e proprio dominio senza storia e senza precedenti. Nemmeno la Juventus del quinquennio d’oro aveva avuto quel blasone e fama raggiunta dai cugini granata e soprattutto il Toro fu determinante per dare via alla ripartenza di una nazione a terra e con continui problemi politici interni. Il 1948-49 era una stagione di cambiamenti, sia per la rosa piemontese che vuole provare a ringiovanirsi che per l’intera Serie A che torna in numero pari passando a venti squadre. Quella sarà una stagione molto più movimentata rispetto al passato, ma purtroppo per tutti ci sarà sempre e solo una data nella mente: 4 maggio 1949.

Il cammino dei campioni


Ai nastri di partenza del campionato 1948-49 la squadra da battere era ancora senza ombra di dubbio il Torino con Ferruccio Novo che iniziava però a rendersi conto che quella rosa favolosa doveva iniziare a essere pian piano svecchiata. Venne però parzialmente sbugiardato il mercato dell’anno precedente, infatti se ne andarono alla Lucchese il poco utilizzato difensore Cuscela e soprattutto l’attaccante rumeno Fabian, bocciato nonostante i nove gol segnati. Salutò la ciurma definitivamente anche il grande Pietro Ferraris, pronto a chiudere la carriera con il Novara e i nuovi arrivati furono davvero tanti. In difesa arrivò dal Casale Piero Operto, a centrocampo venne chiamato dalla Pro Vercelli Luigi Giuliano e fu una vera e propria scommessa quella di acquistare dalla Gallaratese Rubens Fadini, ma l’attesa veniva dall’estero. La mediana venne completata con il cecoslovacco Július Schubert, mentre dal campionato francese arrivarono gli attaccanti Émile Bongiorni e Ruggero Grava.

Roberto Copernico e Ferruccio Novo fecero dunque un importante lavoro di ringiovanimento, voluto anche e soprattutto da un altro uomo decisivo negli anni della creazione del Grande Torino, l’ungherese Egri Erbstein che in estate tornò dopo un disperato tentativo di salvezza all’Alessandria. In panchina però non sedeva più Sperone, bensì l’inglese Leslie Lievesley, ex difensore dalle buone qualità che si era fatto apprezzare soprattutto come preparatore atletico delle nazionali di Olanda e Italia.

Il modo di giocare diventò ancora più offensivo con la voglia sempre maggiore di raggiungere la perfezione estetica e la partenza del 19 settembre 1948 contro la Pro Patria fu certamente molto positiva. I quattro gol al Filadelfia erano diventati da anni una tassa che molte squadre dovevano pagare e anche per i lombardi non vennero fatti sconti, ma furono proprio dei loro corregionali a vendicare la pesante sconfitta. Bergamo era ormai diventato un terreno ostico e complicato per chiunque e così il Torino cadde nella città orobica per il secondo anno consecutivo a seguito di un blackout in due minuti.

Grezar e Mazzola avevano permesso alla squadra di Lievesley di portarsi sull’1-2, ma a un quarto d’ora dalla fine furono Mari e Miglioli a battere per due volte Bacigalupo regalando così una grande vittoria ai nerazzurri. Non ci volle molto però per riprendersi dopo la sconfitta e davanti al pubblico di casa arrivò una Roma pronta alla solita pesante sconfitta che da diverso tempo la attendeva contro i granata. Due reti per tempo, con Gabetto protagonista e autore di una doppietta, permisero di vincere con un netto 4-0 e quella fu solo il primo successo di un bel filotto di cinque consecutivi.

A Livorno furono Loik e Mazzola a portare a casa i primi due punti in trasferta e al Filadelfia fu l’ex di turno Fabian con la sua Lucchese, incredibilmente ancora a punteggio pieno, a mettere paura al Torino portando i toscani in vantaggio alla fine del primo tempo, ma con Gabetto e Grezar il risultato venne sistemato. Dopo cinque giornate erano ben quattro le squadre in vetta alla classifica con otto punti e oltre a Toro e rossoneri vi erano anche Inter e Juventus e in calendario era in programma proprio il derby della Mole. Una folla di circa sessantamila persone si riversarono al Comunale per assistere a un partita apertissima a ogni risultato. I campioni d’Italia passarono in vantaggio con Ossola, ma una sfortunata autorete di Ballarin riportò la situazione in parità fino a quando non salì in cattedra l’uomo più atteso: Valentino Mazzola. Fu proprio il Capitano granata a trafiggere Sentimenti per la rete dell’1-2 che valse un allungo in classifica sui cugini.

La quinta sinfonia venne suonata al Filadelfia contro un Padova battagliero che cadde per 3-1 solo negli ultimi minuti dopo essere stato in vantaggio per quasi tutta la partita e palesando un calo del Toro. I problemi palesati contro i veneti divennero ancora più evidenti grazie la sconfitta a San Siro contro il Milan per 1-0 e dopo un faticoso successo di misura interno contro la Lazio firmato da Mazzola, fu il neoarrivato Giuliano a riacciuffare a tre minuti dalla fine un 2-2 che sembrava ormai impossibile in casa del Bologna.

I tre punti persi permisero incredibilmente alla Lucchese di portarsi al primo posto in solitaria in classifica con una lunghezza di vantaggio su Torino e Inter e proprio i nerazzurri venivano visti come i principali rivali nella corsa Scudetto Il 1948 continuò con diverse difficoltà spesso risolte dall’ottimo Luigi Giuliano che fu decisivo nelle vittorie in trasferta contro Novara e Modena, ma nel mezzo non si andò oltre l’1-1 con la Triestina.

Il calo inevitabile dei toscani aveva permesso così ai ragazzi di Lievesley di diventare capolisti solitari con due punti di vantaggio sulla Beneamata di Milano proprio alla vigilia dello scontro diretto al Filadelfia. Gli uomini di Astley facevano dell’attacco il proprio fiore all’occhiello con un quartetto fenomenale formato da Armano, Amadei, Nyers e un giovane e scattante Benito Lorenzi, ma tutto fu inutile nell’inviolabile tana granata. A sbloccare il risultato dopo pochissimi minuti fu Valentino Mazzola e il raddoppio arrivò alla fine del primo tempo grazie a Romeo Menti che riuscì a trafiggere Albani. Nella ripresa i meneghini provarono la riscossa, ma ogni qualvolta riuscivano ad accorciare le distanze con Armano e Nyers, ecco che i padroni di casa tornavano a distanza di sicurezza con Ossola e Menti per un 4-2 finale che fece partire la fuga già alla quindicesima giornata. Il successo sui nerazzurri creò un eccessivo rilassamento e lontano dal proprio pubblico il girone d’andata finì con tre risultati deludenti.

A Firenze dall’ex Ferrero non si andò oltre lo 0-0, mentre a Genova contro il Grfione rossoblu arrivò una pesantissima sconfitta per 3-0 permettendo così proprio ai liguri di portarsi nella piazza d’onore a un solo punto di distacco. Il freddo gelido del 29 dicembre salutò il 1948 con un 2-0 casalingo sul Bari, mentre il girone d’andata terminò con un deludente 2-2 alla Favorita di Palermo, giorno in cui arrivò la prima rete del francese Bongiorni ma che non evitò la rimonta dei siciliani che negli ultimi venti minuti recuperarono il doppio svantaggio. Quel giorno il Genoa però perse sorprendentemente a Busto Arsizio contro la Pro Patria e così il Torino si laureò campione d’inverno con due punti di vantaggio sui rossoblu secondi, nonostante dovessero ancora recuperare la sfida interna contro l’altra sorprendente genovese, la Sampdoria.


Nelle stagioni precedenti i granata avevano recuperato con favolosi e inarrivabili gironi di ritorno delle prime parti di stagione abbastanza zoppicanti e ora tutti si aspettavano di capire cosa sarebbe successo una volta che i piemontesi si trovavano già capolisti al giro di boa. Lievesley sapeva perfettamente che il periodo invernale era il più complicato, sia da un punto di vista climatico che per una serie di partite in brevissimo tempo e dunque toccava ai nuovi far vedere le proprie qualità.

La trasferta in casa della Pro Patria venne risolta da Schubert che regalò un prezioso successo, mentre in casa contro l’Atalanta fu ancora Bongiorni ad andare in gol anche se quel giorno è ricordato per aver visto l’unico gol in granata di Mario Rigamonti, e per un cuore bresciano come il suo non c’era avversario migliore dei cugini bergamaschi. Il mese di gennaio non stava regalando prestazioni scintillanti e memorabili, ma portò punti e prove di forza non di poco conto, come l’immediata rimonta a Roma contro i giallorossi firmata da Mazzola e Gabetto e l’altro successo per 2-1 nel recupero contro la Sampdoria. In tutte queste gare fu decisivo Capitan Valentino che trovò la zampata vincente anche a tempo ormai scaduto contro un tenace e mai domo Livorno e quel successo fu una pietra tombale sul campionato.

Nonostante mancassero ancora ben quindici giornate, i punti di vantaggio sull’Inter e le due genovesi erano già saliti a quota sei e benché qualche vaga crepa iniziava a vedersi nel perfetto meccanismo granata, era nella concorrenza che non si vedeva continuità. La serie di vittorie venne comunque interrotta a tempo quasi scaduto a Lucca, con i padroni di casa che sfruttarono al meglio un rigore di Conti per pareggiare il vantaggio del solito Mazzola, ma il punto perso diede ancora più stimoli in vista del derby contro la Juventus.

A entrare in campo quel giorno in un Comunale gremito in ogni ordine di posto ci fu anche un giovane Sandro Mazzola a bordo di una macchinina assieme al figlio del Capitano bianconero Rava. Come in ogni annata che si rispetti non può essere stracittadina senza il gol dell’ex Gabetto che con un tocco di punta riuscì a battere un incerto Sentimenti che quel giorno visse una pessima giornata. Il portiere della Vecchia Signora infatti fu protagonista in negativo anche nella ripresa perché, dopo che Cergoli aveva trovato il pareggio, perse palla a seguito di un’uscita da calcio d’angolo e sulla palla vagante fu Ezio Loik il più veloce a deviare in porta per il nuovo vantaggio. L’ex Venezia visse una straordinaria giornata diventando l’eroe del capoluogo piemontese con un gran destro dal limite dell’area poco nel finale che valse il 3-1 definitivo e il successo nel secondo derby dell’anno.

Fortunatamente le partite in casa bastavano per poter rimediare alle trasferte che continuarono a portare solamente a una sfilza di pareggi. Pirotecnico e da brividi il 4-4 dell’Appiani con il Padova avanti prima 2-0 e poi 4-2, per non parlare del 2-2 dello Stadio Nazionale di Roma contro la Lazio, mentre al caro vecchio Fila tutto andava secondo i piani. Il Milan venne travolto da un netto 4-1, Mazzola decise la gara col Bologna e in otto minuti vennero segnate quattro reti al malcapitato Novara. L’unica che provava a limitare i danni era l’Inter che sfruttò parzialmente tutta questa serie di pareggi recuperando però solamente un punto e dunque cinque lunghezze di distacco a otto giornate dal termine risultavano ancora un margine ampiamente amministrabile per Mazzola e compagni.

Il Torino era però palesemente a corto di fiato data ormai l’età non più giovanissima di diversi suoi elementi e i nerazzurri ci credevano ancora, soprattutto perché a Trieste e a Bari i granata si fecero rimontare per ben due volte nella ripresa non andando così oltre all’1-1 né in territorio giuliano né in quello pugliese. Nel mezzo arrivò una soffertissima vittoria contro il Modena, maturata solamente negli ultimi cinque minuti grazie a Menti e Ballarin, ma intanto il vantaggio era sceso ora a quattro punti proprio prima dell’attesissimo scontro diretto contro l’Inter e ai granata sarebbe mancato per infortunio Valentino Mazzola.

Lievesley doveva fare a meno anche per pubalgia di Maroso, oltre che della prima riserva Tomà anch’egli infortunato, e un’altra defezione importante era quella di Grezar, così si decise di tornare al vecchio Metodo con i soli Rigamonti e Ballarin in difesa e un centrocampo ricchissimo formato dai veterani Loik e Castigliano in aiuto di Schubert e Fadini oltre che del classico jolly Martelli. Quel giorno è fondamentale non perdere, per il bel gioco ci saranno altre occasioni, e a diventare l’eroe di quella storica partita fu Valerio Bacigalupo che volò su ogni conclusione interista, anche la più impossibile da parare. Fu un autentica battaglia, con il pubblico milanese pronto a spronare i propri beniamini, ma il muro torinista non cadde e lo 0-0 finale voleva dire rimanere a quattro punti di vantaggio con sole quattro partite da disputare.

Era di fatto la certezza del quinto Scudetto consecutivo e proprio quel risultato convinse Ferruccio Novo ad accettare la proposta del Benfica di disputare una partita amichevole in settimana tra due delle più belle squadre del Continente. Mazzola e Ferreira, Capitano delle Aquile, inoltre sono grandi amici e in occasione di un’amichevole tra Italia e Portogallo si sono dati appuntamento per una sfida tra club e dunque, nonostante le non perfette condizioni del numero dieci, decise di partire lo stesso per la penisola iberica. Fu uno splendido 4-3 per i padroni di casa, ma quando era ormai tempo di tornare a casa accadde la tragedia. I giocatori erano molto stanchi e si decise così di non atterrare a Milano, come inizialmente stabilito, ma fare rotta in una Torino avvolta dalla nebbia e che portò al tragico incidente.

Il G.212 si schiantò contro la basilica di Superga portando alla morte di diciotto giocatori, il direttore generale Agnisetta, il consigliere Civalleri, il direttore tecnico Erbstein, il massaggiatore Cortina e ovviamente il tecnico Lievesley. Si salvarono Tomà e Giuliano che non erano partiti per l’amichevole che rappresentarono per qualche anno l’ossatura di un Torino a pezzi.

La Federazione non ci pensò due volte a proclamare i granata Campioni d’Italia e le ultime partite vennero giocate dai ragazzi della Primavera che sfidarono a loro volta i pari categoria di Genoa, Palermo, Sampdoria e Fiorentina ottenendo solo vittorie, ma ormai non c’era più interesse. Solo il fato e il destino vinse quella squadra memorabile che fu il Grande Torino e probabilmente nemmeno le divinità del pallone volevano vedere invecchiare e declinare quella che forse rimarrà per sempre la più iconica e imbattibile squadra della storia del calcio italiano.

La formazione


Quattro Scudetti consecutivi non bastavano a Ferruccio Novo e alla sua dirigenza, infatti tutta la società si mise immediatamente all’opera per rinforzare l’organico inserendo dei giovani che potessero diventare il prima possibile dei futuri titolari. La panchina cambiò nuovamente padrone passando da Mario Sperone all’inglese Leslie Lievesley che però cercò di modificare il meno possibile lo schieramento dei campioni d’Italia. In porta vi era sempre la saracinesca Valerio Bacigalupo, mentre ancora una volta i problemi erano legati nel ruolo di terzino sinistro.

Se infatti Aldo Ballarin e Mario Rigamonti erano due inamovibili della retroguardia, per Virgilio Maroso furono ancora molti i problemi fisici in quell’annata e così dovette spesso cedere il posto o a Sauro Tomà o a Piero Operto. Il reparto che subì il maggior ricambio fu però la mediana con il duo formato da Giuseppe Grezar ed Eusebio Castigliano che venne spesso e volentieri alternato con il sempre più maturo Danilo Martelli e con il nuovo arrivato Rubens Fadini. Ezio Loik e Valentino Mazzola rimanevano la classe e il cervello della squadra come interni e l’attacco viveva di tre assolute certezze. Romeo Menti all’ala destra, Franco Ossola all’ala sinistra e al centro il perno era sempre quel Guglielmo Gabetto ancora prolifico a trentatre anni.

Il capocannoniere


Il Torino 1948-49 stava vivendo un periodo di ringiovanimento e uno sguardo al futuro che purtroppo non poté mai concretizzarsi. Questo portò a un gioco spesso più attento alla sostanza che non alla forma, nonostante l’idea di Lievesley fosse opposta. Il passato da difensore dell’inglese divenne però la svolta del quinto Scudetto consecutivo e per il terzo anno di fila il miglior cannoniere della squadra fu ancora l’eterno Valentino Mazzola. Il suo numero di reti calò sensibilmente, ma la sua prima marcatura arrivò alla seconda giornata nella sfortunata trasferta di Bergamo contro l’Atalanta, prima di tornare decisivo ancora lontano da casa in quel di Livorno.

Davanti al proprio pubblico si sbloccò contro la Juventus in quello che fu il suo ultimo gol in un derby prima di mettere a segno ancora una rete nella sfida interna con il Padova. Un centro contro la Lazio valse il successo per 1-0 sui biancocelesti, mentre la settimana seguente realizzò il primo gol nel 2-2 di Bologna. La sua presenza nelle marcature granata era una costante e così, dopo aver permesso di pareggiare in casa per 1-1 contro la Triestina, fu lui a sbloccare il risultato nella preziosa vittoria casalinga contro l’Inter per 4-2. Quelle furono le sue ultime reti del girone d’andata e per ben sei partite rimase a secco prima di diventare il mattatore dell’allungo granata.

Andò in gol per ben quattro partite consecutive contro Roma, Sampdoria, Livorno e Lucchese risultando decisivo per sette punti complessivi. Ancora in gol al Filadelfia con Bologna e Novara, prima degli ultimi memorabili centri. Con il Modena segnò la sua perla finale nel suo stadio per il 3-1 sui canarini emiliani, mentre a Bari mise in porta l’ultimo punto della sua carriera, il sedicesimo della sua annata che si concluderà il 4 maggio 1949 su quel maledetto aereo di ritorno dal Portogallo.

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