È finita nel modo più imprevedibile. Un modo che ha lasciato l’amaro in bocca a molti tifosi juventini. Ma Cristiano Ronaldo è un uomo del suo tempo. I “sentimentalismi” dei campioni bianconeri del passato – da Platini a Del Piero – non gli appartengono. È un’altra epoca e poi il portoghese è arrivato in maglia Juve da fuoriclasse già affermato e quindi il suo legame con l’ambiente è stato meno forte di altri assi del passato.
La domanda che tutti in queste ore si fanno è: ma la sua esperienza alla Juventus è stata positiva o negativa? Ha soddisfatto le aspettative oppure era lecito attendersi qualcosa di più?
La redazione di Game of Goals ha espresso alcuni pensieri, in relazione anche al pezzo di analisi più generale scritto da Tommaso Ciuti Cristiano Ronaldo lascia la Juventus: bilancio dei suoi tre anni in bianconero
Alessandro Sartore
I campioni vanno, la Juventus resta. Questo il succo del tweet firmato Allegri con cui si chiude, anzitempo di un anno, l’avventura italiana di Cristiano Ronaldo.
CR7 torna a Manchester, sponda United, là dove è sbocciato il suo talento.
Lo fa senza rimpianti. La Juventus stessa è sollevata dal macigno rappresentato dai 30 milioni netti a stagione che avrebbe dovuto pagare al fuoriclasse lusitano per questa ultima stagione. Ne incassa 28 e in questo modo chiuderà senza minusvalenze l’importante sforzo finanziario sostenuto.
Cosa resterà di questi 3 anni?
Riprendendo le parole di un esperto di mercato e di economia legata allo sport quale il collega Marco Bellinazzo, firma de Il Sole 24 ore: «A posteriori un pessimo affare».
Sempre Bellinazzo: «Costi senza precedenti per la storia del club, ma l’operazione CR7 poteva stare in piedi. Senza Covid e con almeno una Champions League vinta dai bianconeri».
Questa decisione del club bianconero deve essere meglio analizzata.
Con l’acquisto di CR7 la Juve, dopo aver sfiorato due finali di Champions, si giocò un ‘all in’ nella speranza di raggiungere la coppa dalle grandi orecchie e, al contempo, di monetizzare il ritorno d’immagine planetario del portoghese in chiave marketing.
L’idea non era sbagliata, semmai errata è stata la valutazione sull’organico, ritenuto dai dirigenti adeguato. Se per vincere nel giardino di casa quella rosa era sufficiente, si è dimostrata invece inadeguata sul palcoscenico europeo e nulla ha potuto il solo Ronaldo a cambiare l’ordine delle cose.
Resterà invece la visibilità planetaria, la conquista di nuovi mercati e l’insegnamento che Ronaldo ha trasmesso ai compagni di grande applicazione e professionalità e resteranno infine i tanti goal ed i successi che portano anche la sua firma.
Ora si volta pagina. Il ritorno di Allegri significa anche pianificare la ricostruzione in vista di un nuovo ciclo di vittorie.
L’innesto di giovani e la necessità di ricostruire un gruppo che negli ultimi anni viveva troppo su Ronaldo spiegano la decisione della Juventus.
Ora occorrerà ritrovare il Dna Juve. Credo che alcuni dei giovani, penso in particolare a Chiesa e a Kulusevski, potranno beneficiare di una maggiore libertà e quindi avranno in prospettiva maggiori margini di crescita. Lo stesso Dybala sarà ulteriormente responsabilizzato e chiamato a diventare leader definitivo di questa nuova Juventus.
La Juventus dovrà trarre ispirazione dalla nazionale campione d’Europa guidata da Mancini. Si può vincere anche senza essere i più forti. Serve sacrificio, sudore e grande gioco di squadra. A questa Juve poi non manca il talento, quindi gli ingredienti ci sono, occorre crederci e lottare #finoallafine.
Luca Ceste
L’operazione e il rapporto Cristiano Ronaldo-Juventus a mio avviso vanno valutati da due punti di vista: quello economico/commerciale e quello tecnico/sportivo.
Per quanto riguarda il primo penso sia lampante che l’operazione abbia sortito gli effetti sperati, dando nuovo risalto al marchio e all’immagine internazionale della Juventus, tornata dopo anni ad annoverare una stella di primissima grandezza. Anche il marketing e l’indotto commerciale hanno avuto ricadute positive, purtroppo frenate dalla crisi dovuta al Covid. Per cui ritengo che in questo campo l’investimento sia stato fatto a ragion veduta e abbia ripagato la società.
Diversa la valutazione per ciò che concerne l’aspetto tecnico sportivo. Qui l’operazione è stata affetta da miopia e da presunzione. Pensando di avere un telaio fortissimo e di qualità, i dirigenti bianconeri hanno voluto aggiungere la ciliegina sulla torta, affidandosi a quello che “cammina” sulle acque con la convinzione di poter finalmente alzare al cielo la Champions.
Così facendo, nel corso degli anni per mantenere la ciliegina hanno progressivamente indebolito la torta (complici anche scelte di mercato opinabili per usare un eufemismo), sacrificando il DNA di squadra all’esaltazione del singolo.
Nulla da eccepire sulla professionalità e sul rendimento in campo del campione portoghese, che spesso e volentieri con i suoi gol ha coperto le magagne strutturali juventine, ma che è sempre stato un finalizzatore e mai un trascinatore, finendo per fare ingabbiare l’intero contesto in una dannosa rigidità tattica posta al suo servizio, che in alcuni casi ha tarpato le ali alla crescita dei compagni più giovani o dotati di una personalità meno spiccata.
Con la partenza di Ronaldo la Juventus perderà un finalizzatore in grado di risolverle le partite, ma senza dubbio ne guadagnerà in equilibrio, con l’auspicio che si tornino ad acquistare giocatori prima di tutto funzionali alla squadra, da sempre vero totem e fondamento della filosofia e dei successi bianconeri al di là degli uomini che ne vestono la maglia.
Niccolò Mello
Partiamo da un dato. La serie A in un’estate perde Lukaku, Donnarumma, Hakimi, Cristiano Ronaldo, De Paul (Messi a parte, il migliore nella vittoria dell’Argentina in Coppa América) e non so chi altro. Eravamo già poveri, oggi lo siamo ancora di più. Inghilterra, Spagna e Germania ci sono davanti e la Francia ni, nel senso che se è vero che la Ligue 1 è di un valore medio probabilmente inferiore alla serie A è altrettanto lampante che i nomi del super PSG qui non ci sono.
Non è detto che sia un male in senso assoluto, a patto di ovviare alla mancanza dei campioni con un gioco e un’identità definite, concetti che alle nostre squadre spesso mancano, se si eccettua ad esempio l’Atalanta di Gasperini. La nazionale di Mancini da questo punto di vista può insegnarci molto.
Veniamo all’affaire Cristiano Ronaldo.
Devo confessare che io ero uno dei più scettici già nell’estate 2018 ed era un’idea ai tempi condivisa da pochi, tra cui un mio amico napoletano (ma filo juventino) molto appassionato di tematiche economiche che colse subito l’assurdità di investire così tanto su un campione di 33 anni invece che potenziare altri reparti della rosa.
Una tesi, questa, che facevamo nostra seguendo l’idea di Giuseppe Marotta, allora amministratore delegato della Juventus.
Non è mistero che Marotta non volesse Cristiano Ronaldo. Non per il valore del giocatore in sè – indiscutibile – ma perché non lo riteneva idoneo al progetto di sviluppo della Juventus (società che ha per altro sempre fatto crescere in casa i campioni e non li ha mai acquistati “fatti e finiti” da fuori). Marotta avrebbe spalmato i soldi spesi per CR7 con 2-3 acquisti mirati per reparto.
Bisogna dare a Marotta quel che è di Marotta e riconoscere che l’attuale dirigente dell’Inter ci aveva visto non lungo: lunghissimo.
La già citata Italia di Mancini – ma anche l’Argentina di Scaloni – dimostrano che nel calcio vincono le squadre e non i singoli.
Cristiano Ronaldo è uno straordinario singolo e un bomber implacabile. Tiene medie realizzative (a 36 anni suonati) che pochissimi altri cannonieri nel mondo sono in grado di sostenere.
Ma non è un creatore di gioco, non è il motore di una squadra, non è quel giocatore che fa lievitare il rendimento di chi gli sta attorno e spesso si ha la sensazione che cerchi gol e record per se stesso piuttosto che per far progredire l’ambiente che gli sta attorno.
Al Real Madrid rendeva anche perché negli anni i vari Özil, Modric, Marcelo, Kroos, Di María e Benzema lavoravano per lui.
Benzema ai tempi di Cristiano Ronaldo apriva spazi e si muoveva dietro le quinte. Non è un caso che da quando il portoghese ha lasciato la Casa Blanca, l’attaccante francese abbia ritrovato una vena per il gol pazzesca e sia tornato a essere un eccellente primo violino.
Penso che questo possa succedere anche alla Juventus.
Chi si lamenta oggi pensando “eh la Juve senza CR7 perde 30-35 gol” fa un’analisi superficiale, che non tiene conto che i meccanismi di squadra sono complessi e il calcio non è la matematica.
Cristiano Ronaldo in qualche modo obbligava la squadra a trovare lui come unico e principale finalizzatore. E gli altri (Dybala, Chiesa, Morata) dovevano sempre essere al suo servizio, un po’ come successo appunto con il Benzema di turno a Madrid.
Senza più CR7, i Dybala, i Chiesa e i Morata potranno beneficiarne, trovare più spazi, avere più responsabilità, migliorare le loro prestazioni e segnare di più.
Questo non toglie che Cristiano Ronaldo in questi tre anni abbia avuto un rendimento eccellente (101 gol segnati in tutte le competizioni, spesso decisivi per le affermazioni della Juventus in patria), ma significa che senza il suo peso ingombrante, gli altri potranno sfruttare canali fino a questo momento per loro inaccessibili e avranno più possibilità di dimostrare quanto realmente valgono.
Sul piano delle prestazioni e delle reti è indubbio che CR7 abbia assolto pienamente al proprio compito.
Ma è altrettanto indubbio che qualcosa sia mancato e il suo acquisto sul piano sportivo fosse inadeguato. Perché al di là del fatto che è vero che dal 2018 la rosa della Juventus si è indebolita (ma questo appunto anche perché buona parte dell’investimento è stato fatto per il campione portoghese…), è però altrettanto vero che quando Agnelli, Nedved e Paratici annunciarono in pompa magna l’acquisto di Cristiano Ronaldo, l’obiettivo sul piano sportivo – forse mai dichiarato, ma sistematicamente pensato – era uno e uno solo: conquistare la Champions League.
Traguardo che non solo non è stato centrato, ma nemmeno minimamente sfiorato. Anzi. La Juventus compatta, solida, dalla mentalità vincente e dal proprio DNA battagliero, quella delle 2 finali di Berlino e Cardiff, è scomparsa. È uscita una volta ai quarti di finale e due agli ottavi. E sarà stata pure più debole rispetto a qualche anno prima, ma le eliminazioni dalla Champions non sono avvenute per mano di Bayern Monaco, Real Madrid e Manchester City, ma contro Ajax, Lione e Porto. Tre formazioni comunque meno forti sulla carta anche delle Juve dove ha giocato CR7.
Questo perché in campo non vanno mai i nomi, ma le squadre.
Cristiano Ronaldo ha dato tanto alla Juve, ma ha anche tolto tanto.
Nella storia bianconera lascia una traccia di un fuoriclasse, ma chi pensava potesse essere alla Juve “un nuovo Platini” ha totalmente sbagliato i suoi conti. Nella storia juventina Platini sta a Cristiano Ronaldo come Pelé a Neymar in quella del Brasile.
Io sono convinto che senza di lui la Vecchia Signora saprà ritrovare quello spirito e quell’identità che l’hanno sempre contraddistinta e che nell’ultimo triennio erano un po’ andate perdute.
Quanto al portoghese, ha fatto la migliore scelta possibile: tornare all’amato Manchester United, in un club che gli darà carta bianca sul piano tecnico, tattico e fuori dal campo. Se servito a dovere e con una squadra costruita su misura per lui, CR7 sa ancora ampiamente dire la sua nonostante un’età non più giovanissima. La fame che lo ha sempre contraddistinto è un carburante essenziale per spiegare i suoi continui successi.