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Game of Goals dice NO alla Superlega

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Immagine di copertina: una delle tante proteste in giro per il mondo. Questa è dei tifosi del Liverpool. Tutti in coro dicono no alla Superlega. No a un calcio per pochi eletti. No alla fine del principio di merito sportivo

Il calcio mondiale dopo domenica 18 aprile 2021 rischia di non essere più lo stesso. Dodici club tra i più ricchi (e più indebitati) d’Europa hanno deciso di compiere un salto dal quale non si tornerà (forse) più indietro. La creazione dello spauracchio Superlega, campionato di fatto accessibile solo alle società economicamente più forti del Vecchio Continente, è realtà.

Al momento in cui scriviamo hanno aderito Milan, Inter, Juventus per l’Italia; Tottenham, Arsenal, Chelsea, Manchester City, Liverpool e Manchester United per il Regno Unito; Barcellona, Real Madrid e Atletico Madrid per la Spagna.

Forse altre società di primo piano in Europa arriveranno, chissà.
La UEFA e la FIFA si dicono pronte ad azioni legali contro le 12 società, minacciando di escludere i loro giocatori dalle competizioni internazionali per nazionali come Mondiale, Europeo e Coppa América. In aggiunta alcune federazioni hanno intenzione di bandire i club dai campionati.

È una “battaglia” che rischia di lasciare sul campo macerie e a rimetterci sarebbe solo il calcio.

Ceferin, presidente dell’UEFA, è contrario alla Superlega. Ma dovrebbe anche fare dei mea culpa se si è arrivati a questo punto…

Nessuno può mettere in discussione che dal 1863 – anno della sua Fondazione ufficiale alla Taverna dei Frammassoni a Londra – il calcio sia cambiato moltissimo. E che da circa un ventennio sia probabilmente cambiato come mai nei cento anni precedenti.

Chiaramente non si è arrivati a questo punto dall’oggi al domani. Esattamente come le tattiche e le filosofie di gioco non sono cambiamenti netti, ma tasselli che si incastrano ad altri tasselli uno dopo l’altro, così è per i cambiamenti normativi, legati a doppio filo al dio denaro.

Dalla Coppa Campioni – che passa da un team per nazioni a due e poi a quattro – alla legge Bosman – che inaridisce i vivai, depaupera la competitività del Sudamerica e porta all’avvento di squadre con un mare di stranieri. Fino agli effetti dell’economia globalizzata, perché il calcio è sempre lo specchio della società.

La Superlega è l’approdo finale di un processo iniziato già da qualche decennio. Facendo un conto spannometrico, ma utile per capire di cosa stiamo parlando, oggi il 5 per cento delle squadre europee (delle quali fanno parte i 12 club fondatori della Superlega) detiene il 95 per cento delle risorse; mentre il 95 per cento delle altre formazioni detiene il 5 per cento delle risorse.

Differenze economiche abissali che generano distanze tecniche abissali. Così la Juventus vince 9 scudetti in fila in Italia (mai successo) con punteggi da record e pur non avendo spesso chissà quali squadroni; il Bayern Monaco fa lo stesso in Germania; Real Madrid e Barcellona idem in Spagna. Eccetera.

A conti fatti la Champions League di oggi è già una sorta di Superlega velata. E si potrebbe dunque pensare che il passaggio a una Superlega vera e propria, un campionato di fatto inaccessibile agli altri, sia una conseguenza naturale.

In realtà, non è così. In realtà l’avvento della Superlega è qualcosa che va contro a qualsiasi logica e principio del gioco.

Non per una questione di soldi. Non perché crediamo che la UEFA o la FIFA siano associazioni di beneficenza. Anzi: siamo consapevoli che se siamo arrivati a questo punto, la FIFA e la UEFA hanno le loro grandi fette di responsabilità, concupite dal denaro, ingolosite dal potere, decise ad aumentare unicamente i fatturati in barba alla tradizione.

Il punto è che però, nonostante le contraddizioni e le scelte spesso discutibili (per non dire di peggio) né la FIFA né la UEFA né nessun altro finora aveva mai messo in discussione il principio fondante del calcio: il merito sportivo.

Quello di cui tutti ci siamo innamorati. Quello che scalda il cuore dei bambini che giocano per strada. Quello che fa sognare chiunque, anche il piccolo club, di potercela fare.

La Superlega va contro al principio del merito sportivo, che è il cardine basilare sul quale si è sempre retto il calcio. Da quando fu fondato nel 1863 alla Taverna dei Frammassoni a Londra

La Champions League – per quanto piena di contraddizioni e per quanto assoggettata al potere – resta una competizione aperta, dove occorre qualificarsi per poterla giocare, dove occorre arrivare tra le prime quattro dei campionati nazionali (già così, un eccesso, ma chiudiamo pure un occhio…) per accedervi.

La Juventus che sbaglia una stagione, sbaglia acquisti, sbaglia allenatore, e finisce quinta in serie A la stagione seguente in Champions League non ci va. Punto. Anche se è più ricca degli altri e ha più appeal degli altri.

La squadra di provincia che parte dalla serie C, scala le gerarchie fino alla serie A e si classifica nelle prime quattro del suo campionato, ha il diritto di accedere alla Champions, che per lei rappresenta il coronamento di un percorso, il traguardo di una vita. E se per qualche clamorosa e inspiegabile congiunzione astrale azzecca un’annata pazzesca, può arrivare a vincerla.

È estremamente difficile, anzi impossibile, che accada per tutti i motivi già spiegati prima? Vero.
Però – a parte il fatto che è sempre stato difficile (basta osservare gli albi d’oro di Mondiali e Coppe Campioni: quante e quali sono le sorprese? Pochissime) e al massimo oggi è diventato ancora più difficile – ciò che conta è il principio di fondo. Ovvero che resta qualcosa di potenzialmente possibile.
L’Empoli in serie A a inizio stagione parte con gli stessi punti della Juventus.
Lo Spartak Trnava campione di Slovacchia a inizio stagione parte nello stesso girone e con gli stessi punti del Real Madrid.

Nella Superlega invece tutto questo viene cancellato. Nell’idea di chi l’ha concepita, ci sono 15 club fondatori che hanno il diritto divino di partecipare. E poco cambi che ci siano 5 posti “liberi” a disposizione dei mille miliardi di altri club, che possono qualificarsi dopo un tour de force infinito.

Il concetto che ci siano 12, 15 (ma fosse anche uno solo) club che partecipano sempre e comunque – a prescindere dagli acquisti sbagliati che potranno fare, a prescindere dalle sconfitte che potranno subire, a prescindere in pratica dal verdetto del campo – è qualcosa che lede profondamente l’idea con cui è nato il calcio. Qualcosa che va contro la storia e le fondamenta di questo sport. Qualcosa che non si è MAI verificato. Dal 1863, da quel giorno alla Taverna dei Frammassoni, fino al 2020.

Ecco perché noi di Game of Goals (sotto riporto i commenti dei membri del nostro team) urliamo a gran voce: NO ALLA SUPERLEGA.

La Superlega è un affronto a qualsiasi etica sportiva.
È un affronto ai valori di Pierre de Coubertin.
Trasforma il calcio in un mondo esclusivo e non inclusivo.
E il principio che passa non è più “partecipi e vinci se lo meriti”, ma “partecipi e vinci se hai più soldi”.

Florentino Perez, il deus ex machina della Superlega. Il presidente del Real Madrid ha sempre avuto l’ambizione di voler assomigliare a Santiago Bernabeu, e sorride compiaciuto, credendo di aver eguagliato le gesta e lo spirito del suo grande predecessore. Ma non è per niente la stessa cosa: Bernabeu creò una competizione inclusiva, in un’ottica di far partecipare indistintamente tutti i campioni nazionali. Perez invece è mosso da un’idea esclusiva, che vuole aristocratizzare il calcio favorendo pochi eletti.

C’è un altro messaggio che passa e che trovo molto preoccupante, non solo in un’ottica sportiva.
Posto che nessuna delle parti in causa – club della Superlega da un lato; UEFA, FIFA e federazioni nazionali dall’altro – sia mossa da spirito decoubertiano, i 12 club hanno concepito questa operazione di fondo perché hanno avuto perdite di valanghe di milioni di euro.

Danno la colpa al COVID-19. Certo, la pandemia è stata un durissimo colpo per tutti, in ogni ambito. Ma se questi 12 club hanno accumulato debiti, il COVID è solo la punta dell’iceberg. La colpa primigenia è di una gestione rivedibile a livello economico. Le società e le aziende si costruiscono sulle risorse, non sui debiti.

Immaginiamo che un tot di aziende di un determinato settore abbiano accumulato montagne di debiti e un domani per ripianarli decidano di crearsi una competizione ad hoc, elitaria, con un finanziatore alle spalle che possa garantire introiti e ricavi tali da azzerare sul medio periodo i deficit. Sarebbe giusto?

La verità è che il calcio – tutto il movimento, meglio ancora: le società più importanti – si sente al di sopra di qualsiasi organismo internazionale, di qualsiasi giurisdizione, di qualsiasi regola.
Ma il calcio di fondo resta uno sport
.
Genera più indotto del cricket? Ha più tifosi del cricket? Ha più appeal del cricket?
Vero. Ma sia il calcio sia il cricket restano sport. E come sport devono entrambi sottostare a certi principi universali.

Pierre de Coubertin, fondatore dei Giochi Olimpici.
Ciò che è diventato il calcio e ciò che sta diventando lo indignerebbero senza alcun dubbio

Se il calcio volesse dare un segnale vero di ripartenza nel post COVID, ciò che andrebbe fatto è esattamente il contrario di quello che avviene con la Superlega. Andrebbe compiuto un passo indietro, altro che uno in avanti. Alcune idee sensate delle quali si potrebbe discutere?

• Salary cap stile NBA
• Rose per metà composte da giocatori del proprio Paese
• Sei giocatori in campo sempre della propria nazione di appartenenza
• Inserimento di una regola che obblighi l’investimento di una parte del capitale sociale sulle strutture e sui centri sportivi…

Personalmente, spero che la presa di posizione di questi 12 club sia solo un grande bluff, sia solo un tentativo di forzare la mano all’UEFA visti i tanti temi sul piatto (uno su tutti: l’applicazione del fair play finanziario) che dividono il massimo organismo europeo dalle più importanti società calcistiche d’Europa. E si possa così trovare un accordo che riporti tutto a quel principio di merito sportivo (si legga anche lo splendido pezzo dell’amico Simone Cola a riguardo: Uomo nel Pallone, la mia sulla Superlega) che mai dovrà venire meno, se si vuole continuare a parlare e scrivere di calcio attuale.

Altrimenti – e per noi di Game of Goals non sarà affatto un problema – basterà orientarsi unicamente sulla storia e su tutte le meraviglie che il calcio ha saputo regalare dal 1863 al 2021.

N. M.

Lionel Messi, ultimo eroe romantico in un calcio di robot: la sua straordinaria performance in finale di Coppa di Spagna sabato scorso sembrava il preludio a un ritorno del fenomeno argentino ad altissimi livelli. Invece rischia di diventare l’estremo avamposto dell’idea di calcio per come lo abbiamo amato e conosciuto

Jo Araf

Contrarissimo alla manifestazione. Il primo motivo è di natura sportiva. Trovo paradossale il fatto che una società partecipi alla massima competizione europea in virtù di un diritto ‘di nascita’, ovvero per aver fondato lei una competizione e non per aver raggiunto un traguardo sgomitando con delle concorrenti.

Tra l’altro, anche volendo accettare quest’idea non si capisce bene quale sia il criterio decisionale, visto che se con ‘principali club europei’ intendiamo i più vincenti allora non si comprende la presenza di Chelsea, PSG e City, se invece parliamo di club che sono al momento sulla cresta dell’onda non si capisce, ad esempio, la presenza di Milan e United. Per cui è chiaro che è stato fatto un accrocchio di squadre che hanno fondato questa manifestazione per una ragione terza, che è quella di ripulirsi dai debiti e smarcarsi da alcune logiche che non accettano più (ad esempio il fair play finanziario).

Secondo importante motivo: questa SuperLega convoglierà una festa enorme, maggioritaria del tifo mondiale, togliendo di fatto una quantità immane di risorse alle altre coppe e ai campionati nazionali.

Risorse che derivano da diritti televisivi o altro. Se davvero la UEFA riuscirà a impedire ai club di disputare i propri campionati – questa minaccia è stata fatta e molti club locali la supportano, anche se nei vari comunicati non se ne fa menzione – non ci saranno più le partite di cartello. La partita di cartello, a quel punto, quale sarà? Il derby di Roma? Il derby del sole? La Champions League stessa perderebbe enormemente di interesse.

Gabriele Gilli

Penso che la SuperLega sia la più grande forma di discriminazione nei confronti delle società meno ricche, in una situazione in cui il calcio diventa aristocratico, nelle mani di pochi proprietari eletti.

È una conseguenza ahimé inevitabile di un qualcosa che era già nell’aria da anni e che vede anche FIFA e UEFA tra i responsabili di tutto ciò, per la loro incapacità di venire incontro ai club, tutelando i propri interessi.

Ciò non toglie, ovviamente, come per me sia una soluzione che porterà inevitabilmente a favorire i pochi ricchi e a delegittimare i tanti “poco ricchi”. Una pratica che a mio modo di vedere è vergognosa e che distrugge il concetto di sana competitività che caratterizza lo sport in generale.

Il calcio non sarà più quello sport in cui il Bate Borisov aveva le stesse opportunità di competere, nei grandi palcoscenici, di un Real Madrid. Perché per quanto il Real Madrid possa essere chiaramente superiore al Bate Borisov, il Bate Borisov, se si qualifica in Champions League tramite il campionato, ha il sacrosanto diritto di parteciparci e di competere.

Lo sport non può essere esclusiva dei pochi, deve essere di tutti, e il calcio, in questo momento, sta diventando una dimensione aristocratica, e questo è inaccettabile.

Guai a chi paragona la Super Lega con l’NBA. L’NBA nasce nel 1946, con 11 squadre, poi diventate 30 con il passare dei decenni. E soprattutto, se i Minnesota Timberwolves, per dirne una, finiscono ultimi nella loro Conference, non vengono penalizzati, restano a giocarsela sempre e comunque e potranno accedere in futuro a scelte migliori del Draft.

Claudia Fragapane

Che vada al di lá del mero calcio giocato si è capito, così come si è capito che è tutta una questione di soldi. Ed è proprio questo che mi fa più rabbrividire. Perché non si parlerà più di meritocrazia e il calcio giocato passerà sempre in secondo piano, visto che saranno premiati i club più ricchi.

Tommaso Ciuti

Sarebbe la morte dei campionati, che perderebbero tutti di importanza e di visibilità. Le entrate per le società sarebbero minime, gli stadi (in condizioni “normali” e “non pandemiche”) sarebbero ancora più vuoti, si allargherebbe ancora di più la forbice tra società ricche e società povere. Inoltre la stessa Superlega non avrebbe fascino: le squadre fondatrici partecipanti, eccetto la vincitrice, sarebbero condannate a un eterno limbo, dove l’alternativa alla vittoria non è nemmeno la sconfitta e la retrocessione. Il calcio cesserebbe di essere come l’abbiamo conosciuto e l’abbiamo amato.

Luca Ceste

Io penso che la Superlega porterà a un’implosione del sistema calcio sia a livello internazionale, sia nei singoli Paesi. Il pallone perderebbe di appetibilità ad ogni livello. La coperta a livello economico è corta e cercare egoisticamente di concentrare gran parte delle risorse nelle mani di pochi club a scapito di tutto il resto non mi pare la soluzione. FIFA, UEFA, Superlega e campionati nazionali difficilmente potranno coesistere e spartirsi una torta che consenta a tutti di sopravvivere.
Secondo me sarebbe necessario un generale ridimensionamento di tutto il sistema calcio.

Alessandro Sartore

Potrebbe anche essere una mossa politica per ottenere le modifiche che certi club avevano richiesti sulla Champions.
Non credo possa avere appeal una Superlega con così pochi club anche se blasonati.
È uno strappo forte.

Davide Simoni

Sono ovviamente perplesso per usare un eufemismo. Diciamo che essendo in contatto con il mondo Barça non posso assumere una posizione ufficiale a riguardo. Posso solo dire che in ultima istanza e in regime di mercato libero è il fruitore ultimo del prodotto a decretare il successo di un progetto. Per cui se al tifoso la cosa non va basta spegnere la TV e magari tornare a sostenere le realtà locali che hanno molto bisogno di sostegno.

Francesco Domenighini

La Superlega è un modo per favorire ulteriormente le grandi squadre e dare maggiore importanza alla continuità ad alti livelli. Questo può anche starci. Ma non mi sta bene il criterio. Perché deve essere sempre il campo a decidere chi è l’élite e chi non è l’élite.

E non regge neanche lontanamente il discorso dell’NBA per il semplice fatto che voglio vedere le 12 squadre partecipanti favorire le formazioni in fondo per avere maggiore ricambio al vertice o lasciare i draft dei giovani più interessanti alle ultime in classifica.

Ma poi non ci sta nemmeno il discorso che qualcuno ha fatto di un parallelo con Amazon, che alla fine ha monopolizzato il mercato e tutti comprano su Amazon. È vero forse che Amazon è una potenza che può aver contribuito alla chiusura di tanti negozi in giro per il mondo, però non è che Amazon ha impedito la crescita degli altri. L’ha rallentata perché ha più soldi, certamente. Ma è come le grandi squadre.

Non è che il Catanzaro negli anni ’70 e ’80 non vinceva il campionato per strani motivi. Non vinceva perché trovava avversari più organizzati e con più soldi, è sempre stato così. Però poteva partecipare e anche le grandi squadre potevano crollare. Il Milan è retrocesso. La Juventus è retrocessa, seppur per Calciopoli. Il Manchester United, sei anni dopo aver vinto la Coppa Campioni nel 1968, è retrocesso nel 1974.

È lo stesso discorso è con Amazon. Amazon oggi è al vertice della vendita online nel mondo, ma nulla impedisce che tra 3-4-5 anni Amazon possa perdere tantissimo e venire superato da altri. È questo concetto che deve rimanere fisso. Altrimenti, diventa tutto inutile. Già nella vita non succede spesso. Se si toglie questo principio anche nello sport, allora andiamo tutti a occuparci d’altro.

Francesco Buffoli

La storia è un processo continuo. Però ci sono dei momenti di accelerazione e di rottura. L’arrivo della Superlega non nasce per caso, ma è la conclusione di un processo che inizia già negli anni ’90. E anzi: la sentenza Bosman è il risultato di un percorso nato alla fine degli anni ’80, quando già si intravedevano l’erosione del ruolo centrale dei campionati nazionali e il progressivo declino del calcio sudamericano: negli anni ’80 le sudamericane hanno vinto 7 Coppe Intercontinentali su 10, oggi farebbe ridere solo a pensarlo. Quindi c’è stato davvero questo stacco, culminato con la sentenza Bosman e da lì si è aperta la voragine.

Bisogna anche aggiungere che il calcio non è un’isola felice rispetto al resto del mondo. E che nel mondo la polarizzazione è sempre più evidente, anche all’interno dei rapporti tra società oltre che tra classi sociali. La tendenza di creare delle élite di multimiliardari esiste ovunque, esiste in Occidente, in Cina, in India, in Sudamerica. È qualcosa che si sta affermando da anni, dopo la crisi finanziaria del 2008 e a maggior ragione con la pandemia. Il mondo si sta adattando a queste trasformazioni e i riflessi si vedono in ogni ambito, a partire dal calcio, che è uno dei più giganteschi affari che esistono a livello internazionale.

Finora nel calcio ha sempre resistito, nonostante tutto e con una certa difficoltà, quella magia che porta il Leicester al titolo inglese o l’Atalanta a sfiorare una semifinale di Champions. Imprese che un po’ possono ricordare quella del Nottingham Forest che vinse due Coppe dei Campioni consecutive quando due anni prima era nella serie B inglese. Imprese che progressivamente si sono perse.

Abbiamo voluto scopiazzare un po’ la politica-spettacolo degli americani, senza però i loro contrappesi. Come al solito copiamo un po’ il peggio di quello che arriva da oltre oceano, senza però considerare ad esempio che l’NBA è una lega completamente diversa, organizzata in modo diverso, in un Paese che ha una cultura molto diversa. I Golden State Warriors che vincono 4 titoli di fila, poi si ritrovano all’improvviso ultimi. Da noi sarebbe impensabile vedere la Juventus ultima o il Real Madrid 15° nella Liga due anni dopo aver vinto la Champions, per dire. Negli Stati Uniti può succedere perché esistono tutta una serie di meccanismi che favoriscono l’equilibrio.

Sondaggio: anche i nostri lettori dicono no alla Superlega


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