Immagine di copertina: Boris Arkad’ev spiega il suo calcio ad alcuni giocatori
È la difesa per eccellenza. Gli allenatori – di ieri e di oggi – possono divergere per concezioni ideologiche e filosofiche, possono praticare un calcio di iniziativa e possesso come uno impostato sulle ripartenze e sulla verticalità, ma la maggioranza è comunque orientata sul difendere a quattro. Certo, qualche eccezione c’è. Si veda in Italia Antonio Conte, che tra Juventus, nazionale e Inter, ha sempre prediletto tre uomini a protezione del portiere.
La linea difensiva a quattro consente evidentemente di coprire meglio il campo, con due centrali moderni che oggi surrogano i compiti di libero&stopper spesso alternandosi tra loro e due terzini adibiti alle due fasi, bravi a capovolgere il fronte del gioco.
Ma quando è nata la difesa a quattro? C’è stato un preciso momento in cui qualcuno ha deciso di compiere il “grande salto”, passando dai concetti del Metodo – due terzini in linea e privi di compiti di marcatura ad personam – e del Sistema – due terzini larghi sulle ali e uno stopper a guardia del centravanti – all’idea della difesa a 4 in linea? E se questo qualcuno esiste, chi è stato?
Nel calcio solitamente una rivoluzione ha tanti padri. E non esistono mai cesure nette. I cambiamenti sono il frutto di una concatenazione di eventi, piccoli tasselli che si incastrano a tasselli successivi, formando un puzzle e portando a un’evoluzione di natura tattica o ideologica.
Nel caso della difesa a 4 forse però possibile individuare un uomo che prima di tutti – un po’ per caso e un po’ per scelta – ha sperimentato questo modello.
Unione Sovietica: la rivoluzione di Boris Arkad’ev
Unione Sovietica, anni ’40. Il Paese sta attraversando un momento difficile, la guerra contro la Germania nazista sta prosciugando ogni energia. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, il calcio sovietico è rimasto isolato dal resto del mondo, strutturato secondo criteri amatoriali e con il Metodo (WW) quale unico sistema di gioco conosciuto.
Qualcosa iniziò a cambiare negli anni ’30, con la creazione del primo campionato nazionale e la tournée di una squadra basca, che intendeva promuovere la causa dei repubblicani nella guerra in Spagna contro Francisco Franco.
I baschi giocarono nove partite e più che i risultati stupirono per la sicurezza con cui stavano in campo e per il modulo utilizzato, il Chapman System (WM), un modello di gioco che i russi non avevano mai visto.
Tra i tanti incuriositi da quel modo di giocare c’era anche il giovane allenatore del Metallurg Mosca, Boris Arkad’ev. Ex insegnante di scherma, disciplina da cui aveva appreso l’importanza di una valida difesa prima di passare al contrattacco, Arkad’ev sperimentò il nuovo modulo nel suo club e continuò con la stessa idea anche quando venne chiamato dalla Dinamo Mosca, la squadra del ministero dell’interno di Lavrentij Pavlovič Berija.
Presto l’allenatore si rese conto che il Chapman System non era abbastanza bilanciato per mettere in pratica la sua idea di calcio: l’idea di Arkad’ev era ambiziosa, voleva – parole sue – «instillare un’anima russa nello sport portato dagli inglesi», ovvero creare un mix di organizzazione collettiva, passaggi nello stretto, aggressione e movimenti senza palla che potessero consentire a un difensore di salire e a un attaccante di arretrare.
Per mettere in pratica la sua idea Arkad’ev aveva bisogno di coprire meglio il campo. Gli venne così in mente di provare ad arretrare uno dei due mediani del Sistema in difesa e contemporaneamente chiedere a una delle due mezzali di giocare maggiormente al fianco dell’unico mediano rimasto. Fu una mossa decisiva: il nuovo sistema di gioco gli permise di avere maggiore copertura, una superiore organizzazione su tutti e 110 i metri di campo e portò la Dinamo alla vittoria del campionato del 1940, l’ultimo prima dell’interruzione bellica a causa dell’invasione del territorio sovietico da parte delle truppe naziste il 22 giugno 1941.
La stampa ribattezzò quel modo di giocare Passovotchka, a sottolineare la fitta ragnatela di passaggi. Ma un altro soprannome azzeccato fu Disordine organizzato perché tutti sembravano muoversi a caso quando in realtà seguivano un copione cristallizzato. Arkad’ev non poteva immaginare che ciò che aveva fatto in quel momento avrebbe drasticamente rivoluzionato la storia del gioco. Era nata, un po’ casualmente e un po’ per necessità, la prima ufficiale difesa a quattro della storia.
La ricostruzione del CDKA Mosca (moderno CSKA, la squadra dell’esercito) nel dopoguerra passò da Arkad’ev. Mentre la Dinamo, ancora fedele ai suoi insegnamenti, stupì persino i maestri inglesi in un tour del 1945, pareggiando con il Chelsea e sconfiggendo Arsenal e Cardiff, Arkad’ev si sedette sulla panchina del CDKA e conquistò 5 scudetti e 3 Coppe di Russia. Nel frattempo aveva dato alle stampe pure un libro Tactics of football, che divenne la base di studio per tutti gli allenatori dell’Est Europeo.
Inevitabile la chiamata in nazionale per guidare l’Unione Sovietica nella prima competizione internazionale, i Giochi Olimpici del 1952 a Helsinky. Un’esperienza però che per Arkad’ev non fu per nulla fortunata. Anzi. L’eliminazione subita negli ottavi di finale contro gli storici rivali della Jugoslavia per 3-1 (dopo un clamoroso 5-5 nella prima partita e i sovietici capaci di rimontare dall’1-5), mandò su tutte le furie i vertici del partito. La gara contro la Jugoslavia non era come tutte le altre, visti i rapporti tesissimi tra i due dittatori, Iosif Stalin e Josip Tito.
A farne le spese fu Arkad’ev, che non venne solo esonerato: gli furono tolti tutti i premi che aveva ricevuto e fu messo in disparte, in attesa di una sorte forse peggiore. Per sua fortuna però nel 1953 Stalin morì, Berija venne fucilato e nel Paese si avviò il processo di destalinizzazione per fare luce sui crimini del dittatore georgiano. Arkad’ev fu riabilitato e poco importa che la sua carriera di allenatore da lì in poi ebbe un rapido declino. La sua rivoluzione era partita e sarebbe stata più duratura di quella che aveva in mente di fare il governo del suo Paese…
Martim Francisco e il calcio brasiliano
Forse Arkad’ev è stato temporalmente il primo, dunque, a utilizzare la difesa a 4. Ma altre nazioni del mondo ci sono arrivate, attraverso strade alternative. In Brasile, ad esempio, si ritiene che il modulo fu inventato da Martim Francisco, allenatore del piccolo Vila Nova, squadra di Nova Lima, una cittadina vicina a Belo Horizonte, nel 1951.
Il principio anche in Brasile era lo stesso visto in Unione Sovietica: partendo dal Sistema Francisco arretrò il mediano Lito sulla linea dei difensori, ma per non sguarnire eccessivamente la linea mediana l’allenatore chiese all’ala destra Osório di accentrarsi, arretrare e irrobustire il settore nevralgico della manovra.
Era una difesa a 4 ad ogni modo sui generis, in quanto Lito aveva anche il compito in fase di possesso palla di avanzare a centrocampo per fungere da regista arretrato. Ma quella piccola rivoluzione fu la base per edificare dapprima alcune portentose squadre di club (come il Flamengo di Fleitas Solich, vincitore di tre campionati carioca consecutivi tra il 1953 e il 1955; e come il San Paolo di Béla Guttmann di metà anni ’50) e poi la nazionale di Vicente Feola che sconvolse il pianeta e cambiò per sempre i connotati sociali del calcio brasiliano nel Mondiale di Svezia ’58.
Il Grande Torino e la Grande Ungheria
Sempre negli anni ’40 e nei primi anni ’50 ci sono stati tentativi di modulare le difese a 4 a seconda dei momenti, sfruttando la poliedricità degli interpreti e partendo dalla soluzione del Chapman System. Due esempi sommi sono stati il Grande Torino e la Grande Ungheria, entrambe plasmate (in un caso direttamente, nell’altro indirettamente) dalle menti di geniali allenatori ebrei provenienti dalla Mitteleuropa.
Ernő Erbstein, sfuggito al lager in Ungheria e rientrato in Italia dopo il conflitto, partì dal Chapman System che era già stato studiato per i granata nei primi anni ’40 da Felice Placido Borel e andò oltre, creando una formazione tatticamente camaleontica e capace di cambiare sistema di gioco in corsa a seconda dell’avversario e del momento. A favorirlo, sia la sua formazione mitteleuropea (il calcio danubiano già negli anni ’30 brillava rispetto a tutti gli altri per qualità e quantità di idee innovative e visionarie), sia la presenza nel Toro di giocatori dalla mentalità particolarmente duttile.
In fase di non possesso palla, Erbstein chiedeva sovente al mediano destro, Grezar, di arretrare sulla linea dei tre difensori andando a comporre una sorta di linea a 4 con i terzini Ballarin e Maroso e lo stopper Rigamonti. All’altro mediano Castigliano, un universale del gioco, invece il compito di scatenare il suo indomito spirito offensivo affiancando nelle volate a tutto campo le due favolose mezzali, Ezio Loik e Valentino Mazzola.
Non dissimile il processo di Gusztáv Sebes nell’Ungheria: a consigliarlo anche in questo caso due santoni di origine ebraica, il solito Guttmann (unico allenatore della storia a vincere la Mitropa Cup, ovvero la Coppa dei Campioni in epoca pre-bellica, all’Újpest nel 1939; e la Coppa dei Campioni moderna con il Benfica nel 1961 e 1962) e il suo vice Gyula Mándi, entrambi facenti parte per un certo periodo del suo staff.
Il principio era simile a quello del Torino, con elementi dotati di clamorose risorse sul piano della fluidità e flessibilità tattica: lo stacanovista Zakariás non di rado di sganciava dalla linea mediana per affiancare in difesa lo stopper Lóránt e i due terzini, l’incursore Buzánsky a destra e il più classico Lantos a sinistra.
Maslov, Ramsey e il passaggio al 4-4-2
Nel corso degli anni ’50 la difesa a 4, abbinata allo schieramento del 4-2-4, soppiantò gradatamente e in molti Paesi il vecchio Chapman System. Una delle nazioni più sensibili a questo cambiamento risultò l’Unione Sovietica, che poteva già fregiarsi degli insegnamenti di Arkad’ev. La sua esperienza venne proseguita più che dai tecnici della nazionale Gavril Kachalin e Konsantin Beskov (assertori del WM), da Viktor Maslov, padre putativo di Valerij Lobanovs’kyj, l’uomo che rese grande la Dinamo Kiev e il calcio sovietico negli anni ’70 e ’80.
Secondo molti storici Maslov fu il primo negli anni ’60 a concepire il 4-4-2, con le due ali che per mantenere ulteriormente serrate le fila in fase di non possesso agivano di fatto come dei tornanti puri, prendendo spunto dallo Zagallo del Brasile ’58. Oltre che sul 4-4-2 Maslov faceva leva su concetti come pressing, zona e scambio di giocatori a blocchi (della serie tutti possono attaccare e tutti possono difendere). I risultati furono stupefacenti, con 4 campionati sovietici e 6 Coppe nazionali tra Torpedo Mosca e Dinamo Kiev e fasi difensive perfette, che concedevano pochissimo agli attacchi avversari.
A beneficiare delle idee di Maslov proseguendo sulla sua strada non fu solo Lobanovs’kyj, ma anche un insospettabile allenatore argentino, Osvaldo Zubeldía, ideatore dell’Estudiantes di fine anni ’60 tre volte consecutive campione del Sudamerica.
Che la paternità del 4-4-2 sia di Maslov tuttavia è ancora oggi oggetto di dibattito perché negli stessi anni di Maslov l’Inghilterra conquistò il titolo mondiale affidandosi al medesimo modulo. Allenatore era Sir Alf Ramsey. Le due ali, il guizzante e dribblomane Ball e il cerebrale Peters, partivano di fatto in linea con i due centrocampisti centrali, il gladiatorio Nobby Stiles e il faro Bobby Charlton. L’idea di Ramsey di tenere le due ali inizialmente più bloccate – scatenando poi Ball sull’out e consentendo a Peters di dare sostegno e filtro al gioco per vie centrali – era data appunto dalla presenza di Charlton, una mezzala universale che come Valentino Mazzola e Alfredo Di Stéfano, amava fiondarsi in area e concludere in prima battuta.
Tra 4-2-4 e 4-4-2: l’esperienza dello Spartak Trnava
Ma oltre alle esperienze di Maslov e Ramsey, ne esiste un’altra meno conosciuta eppure di straordinaria importanza sul piano tattico, quella di Anton Malatinský, tecnico degli slovacchi dello Spartak Trnava. Arrivato una prima volta nel club nel 1963, Malatinský venne incarcerato dal regime di Antonín Novotný per aver aiutato dei dissidenti a fuggire. Dopo essere stato scarcerato nella seconda metà degli anni ’60 portò il club in Prima divisione e poi alla vittoria del campionato nel 1968, anno della Primavera di Praga. Sempre nel 1968 Malatinský si dimise, ma sulla scia del suo lavoro il club vinse altri 4 scudetti, diventando la formazione guida del Paese.
Il calcio dello Spartak Trnava poggiava, come quello di matrice sovietica e del resultadismo argentino, su un pressing costante, difesa, ripartenze, movimenti e blocchi scientifici. Alla base un 4-2-4, che all’occorrenza, vista la polivalenza degli interpreti, poteva mutarsi in un 4-4-2, con le corsie laterali che erano il vero valore aggiunto, trampolino di lancio per ribaltare il fronte del gioco una volta che i giocatori entravano in possesso di palla.
La grande stagione dello Spartak fu il 1968-69 con la squadra che si spinse addirittura fino alle semifinali della Coppa dei Campioni, alla prima partecipazione. Dopo aver eliminato lo Steaua Bucarest, i finlandesi del Lahden Reipas (con un 16-2 complessivo!) e i greci dell’Aek Atene, si ritrovò clamorosamente al gran ballo delle semifinali con corazzate che rispondevano ai nomi di Ajax Amsterdam, Milan e Manchester United. Clamorosamente per chi non conosceva il 4-2-4/4-4-2 e il calcio partorito dalla mente di Malatinský.
L’Ajax di Rinus Michels e dell’astro nascente Johan Cruijff, rivale sulla strada della finalissima, sembrò mettere una forte ipoteca sul passaggio in finale dopo il rotondo 3-0 dell’andata. Ma lo Spartak Trnava, superato lo scotto dell’emozione in Olanda, al ritorno andò vicino a un’impresa pazzesca.
Con un forcing asfissiante, costrinse l’Ajax sulla difensiva fin dai primi minuti. Cruijff fu limitato da una gabbia predisposta per l’occasione da Ján Hucko, allievo di Malatinský e suo erede in panchina. Lo Spartak salì sul 2-0, batté 15 corner contro gli 0 degli olandesi e nel finale andò due volte a un passo dal portare il match ai supplementari, con il portiere dell’Ajax Bals costretto ai miracoli.
In finale ci andò dunque l’Ajax, poi superato 4-1 dal Milan di Rocco, ma quel giorno Michels imparò qualcosa e forse, memore anche di quell’esperienza, completò da lì a una manciata di anni il suo progetto visionario basato ovviamente su difesa a 4, pressing furibondo e giocatori che sapevano muoversi in più zone e giocare in più ruoli. Un calcio non così diverso da quello dello Spartak Trnava e in parte dei modelli sovietici. Perché in fondo ogni esperienza culturale e sportiva è il frutto di tanti piccoli tasselli che si incastrano e danno origine a qualcosa di nuovo, anche se è nuovo solo apparentemente.