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Virgilio Fossati e Alexandre Villaplane: capitani sul campo, capitani in divisa

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Ci sono vite e carriere di atleti e calciatori che non possono essere raccontate se non partendo dall’epilogo, soprattutto quando le loro esistenze hanno incrociato i fatti tragici della prima metà del Novecento. A distanza di sei anni esatti, il 12 settembre del 1889 e del 1905, nascono Virgilio Fossati, secondo capitano della storia dell’Inter, e Alexandre Villaplane, primo capitano della nazionale francese nella storia della Coppa del Mondo, due ragazzi che, come altri loro colleghi e coetanei, periranno in un’Europa messa a ferro e fuoco. Virgilio Fossati appartiene ad un calcio pionieristico, in buona parte dimenticato. Nato a Milano, in Porta Ticinese, Virgilio si unisce alla neonata Internazionale, un club sorto da poco che si è dato un’identità cosmopolita ed inclusiva in antitesi con il clima patriottico che imperversa sul calcio milanese di quegli anni. Ben presto diventa capitano succedendo allo svizzero Marktl e con la fascia al braccio vince il campionato nel 1910, il primo nella storia dell’Inter, il primo a girone unico e con le fattezze dei campionati odierni. Quell’exploit gli vale l’onore di essere convocato in nazionale il giorno in cui gli Azzurri fanno il loro esordio assoluto. È il 15 maggio e l’Italia sfida la Francia in amichevole. Fossati firmerà la seconda rete, diventando di fatto il secondo marcatore della storia della nazionale

Il calcio europeo è in pieno fermento: Virgilio ha 21 anni e sogna la passerella internazionale perché nel frattempo sono in corso i preparativi per le Olimpiadi di Stoccolma, in programma per il 1912. È la prima manifestazione internazionale alla quale partecipa la nazionale italiana, la prima nella quale il calcio riveste un ruolo da protagonista. Ma definire l’organizzazione laboriosa è un eufemismo e i soldi messi a disposizione sono pochi. Ai giocatori viene riconosciuto il pagamento di una diaria di 6 lire al giorno, del biglietto di seconda classe fino a Verona, di quello di terza classe a partire dal confine e di quello per il piroscafo che dalla costa baltica li porterà in Svezia. In più i piani di Vittorio Pozzo, tecnico dell’Italia, vengono scombussolati: gli viene imposto un limite di 14 giocatori e l’impossibilità di convocare atleti alle prese con la leva obbligatoria. Fossati è uno di questi e per tale ragione sarà costretto a rimanere in Italia.

Esattamente due anni dopo guerra è dichiarata. Per i cittadini di tutt’Europa si tratta di un fulmine a ciel sereno: diversi calciatori ed allenatori inglesi e scozzesi approdati anni prima nell’Europa continentale per dare un impulso al mondo del calcio vengono fatti prigionieri o inviati presso campi di lavoro. Fossati invece viene inviato al fronte, viene insignito della Medaglia d’Argento al Valor Miliare, disputa da capitano un’amichevole a guerra in corso contro la Svizzera e contro l’ex compagno di squadra Ernest Peterli, il primo vero goleador nerazzurro e poi, il 29 giugno del 1916, cade nei pressi di Monfalcone. Fossati era capitano anche quel giorno, ma questa volta non su un campo da calcio. Non sarà l’unico calciatore a perire al fronte, anzi, la sua Inter ad esempio piangerà 26 dei suoi tesserati. Uno di questi è Giuseppe Caimi, giocatore che Vittorio Pozzo aveva deciso anni prima di escludere dalla lista dei convocati per motivi disciplinari. Anni dopo sarebbe stato proprio il tecnico a rimembrare l’accaduto, sostenendo che Caimi, non appena era venuto a sapere della mancata convocazione, era balzato su tutte le furie e gli aveva scritto una lettera di fuoco. Pozzo aveva risposto per le rime ma una volta incontratisi i due si erano riappacificati. Avevano brindato e si erano ripromessi di riscriversi. In realtà, da quel momento Pozzo avrebbe perso qualsiasi contatto con il giocatore. Avrebbe saputo solo in seguito che Caimi si era distinto tra le fila dell’esercito collezionando medaglie su medaglie, una d’oro, per il fatto di essere stato ‘Ufficiale di leggendario valore’. Ma il giorno di Santo Stefano del 1917 anche Caimi se n’era andato.

La nazionale italiana che giocò l’amichevole contro la Svizzera a guerra in corso

Lontano dai venti di guerra che affliggono l’Europa ad Algeri sta crescendo un bambino, anche lui appassionato di pallone e volenteroso di calcare i più importanti palcoscenici nazionali ed internazionali. Si chiama Alexandre Villaplane, è figlio di emigrati francesi e a 12 anni è già entrato a far parte di una squadra locale, il Gallia Sports. Soltanto due anni dopo la famiglia si trasferisce in Francia e la carriera di Alexandre prosegue inarrestabile: entra a far parte delle giovanili dell’FC Séte, esordisce in prima squadra e dopo la leva militare a Montpellier – con tanto di esperienza nella nazionale militare – torna alla sua vita di tutti i giorni. Tre anni dopo, però, nonostante il calcio francese sia ancora amatoriale e ai calciatori sia vietato percepire stipendi, Villaplane approda al Club Nîmois: decisiva è stata un’offerta economica ricevuta sottobanco dai vertici del club. E la sua avventura inizia a gonfie vele, tant’è che il 23enne viene convocato ai Giochi Olimpici di Amsterdam e nominato capitano. L’avventura olimpica, però, termina già al primo incontro. Nei quarti di finale Villaplane e compagni iniziano bene, ma subiscono il ritorno dell’Italia e i transalpini perdono 4-3.

Villaplane si produce in uno dei suoi pezzi forti, il colpo di testa

Due anni dopo il centrocampista fa nuovamente le valigie: si unisce al Racing Club, appena promosso in prima divisione ed impaziente di scalare i piani alti della classifica. Per questo motivo il presidente ha deciso di fare alcuni investimenti importanti e Villaplane è in cima alla lista dei suoi desideri. A Parigi, però, per Villaplane è l’inizio della fine: inizia a condurre una vita bohemién che lo renderà un patito del cabaret, del gioco d’azzardo e delle corse dei cavalli.  Nonostante ciò Caudron, l’allenatore della Francia, gli affida nuovamente la fascia e Villaplane prende parte alla prima partita della storia dei Mondiali, Francia-Messico. Ne giocherà in tutto tre, dato che la Francia verrà eliminata al termine del girone.

La nazionale francese alla Coppa del Mondo del 1930

 Il 1932 coincide con l’avvento del calcio professionistico in Francia e il giocatore, allettato da un offerta dell’FC Antibes, accetta. L’FC Antibes vince uno dei due gironi della massima divisione ma appena dopo il successo erutta uno scandalo: emerge che l’allenatore del club ha combinato l’ultimo incontro, quello decisivo per il primo posto. Viene radiato dal calcio ma i sospetti non ricadono solo su di lui: anche Villaplane finisce nell’occhio del ciclone, tanto da dover abbandonare il club destinazione Nizza. Qui viene fatto capitano, gioca spesso, ma agli allenamenti lo si vede poco. Più di un tifoso giura di incontrarlo più all’ippodromo che allo stadio e così la sua parentesi presso il club nizzardo si conclude al termine della stagione 1933-34. Trova un contratto presso il Deportivo Bastidienne di Bordeaux ma i problemi di qualche tempo prima riaffiorano e Villaplane decide di appendere gli scarpini al chiodo. Per questa ragione, nonostante il centrocampista sia soltanto 30enne, esce dal giro della nazionale e non partecipa alla Coppa del Mondo nell’Italia mussoliniana. Da qui in avanti il suo nome sarebbe ricomparso a più riprese ma in altre sedi, solitamente penali e giudiziarie. Fu ciò che avvenne qualche mese dopo, quando Villaplane fu condannato a sei mesi di reclusione per aver truccato delle corse dei cavalli. In carcere, oltretutto, Villaplane entra in contatto con il crimine organizzato ed una volta rilasciato, poco dopo l’invasione nazista della Francia, inizia a bazzicare la Rue Lauriston, sede del quartier generale della Gestapo. Villaplane e soci – capeggiati da un altro ex galeotto, Henry Lafont – procurano agli ufficiali della Gestapo ogni tipo di bene proveniente dal mercato nero, ma soprattutto si danno ad un’altra attività: quella di delatori. Spiano e stanano gli ebrei al fine di consegnarli ai loro aguzzini, e tale opera gli vale laute ricompense da parte dei commilitoni nazionalsocialisti.

Ma oltre a fare gli interessi dei nazisti, l’ex centrocampista pensa soprattutto ai propri e a causa di alcune truffe viene ricercato. Si procura un passaporto falso e fa la spola tra Tolosa e Parigi prima di venire catturato e recluso nuovamente nel 1943. La prigionia termina l’anno dopo e Villaplane non perde tempo per riprendere in mano l’attività politica: si unisce alla Brigade Nord-africaine, un’organizzazione collaborazionista di immigrati nordafricani che semina il terrore nelle città e nei villaggi e le cui scorribande spesso si concludono in delle vere e proprie carneficine. La più brutale di tutte avviene probabilmente l’11 giugno del 1944, presso il villaggio di Mussidan. 52 persone vengono prima fatte ostaggio e poi trucidate. Poco più di un mese dopo, però, i destini dell’Europa si capovolgono: la Francia viene liberata e Villaplane viene arrestato. Il processo, tenutosi tra il 1 e l’11 dicembre, lo accusò di alto tradimento, atti di barbarismo e omicidi e stabilì come sentenza la pena di morte.

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