Immagine di copertina: disegno di una partita di calcio agli albori
Interrogarsi ai più vari livelli sul Regolamento del Giuoco del Calcio, se non è proprio una prassi quotidiana, non è certo un avvenimento così poco frequente, visto il rincorrersi continuo di polemiche e controversie su questo o quell’aspetto, su questo o quell’episodio. Per di più, da quando è stata introdotta in quel mondo una macchina salvifica ma infernale come il VAR nel 2016, i quesiti e le richieste di correzioni sono di molto aumentate, addirittura raddoppiate.
Oltre infatti all’insieme di articoli, revisionati peraltro ogni santissimo anno dal 1886 dall’International Football Association Board (IFAB), adesso gli addetti ai lavori e gli appassionati devono fare i conti con le possibili, auspicabili o temute modifiche di quello relativo appunto al VAR, il famigerato Protocollo. Che non è un foglio per compiti in classe, ma un insieme di disposizioni e dettami, non vere e proprie regole, da seguire per disciplinare le modalità d’uso di questo prezioso e odiato apparecchio tecnologico.
Quest’ultimo insieme di questioni, come ben sanno i nostri lettori, ha implicazioni molto complesse, rese ancor ingarbugliate dal fatto che, dopo nove anni di utilizzo, si ha la sensazione, difficile da poter essere smentita, di trovarsi ancora in una fase sperimentale
Ma prima di avvicinarmi al VAR, la cui nascita ho tentato di storicizzare in una serie di capitoli specifici sull’argomento (leggi qui il filone “Un salto al VAR”), è opportuno tentare di fare un minimo di chiarezza sulla Storia del Regolamento principale e delle sue successive modificazioni, quasi tutte definitive e qualcuna invece di vita breve o brevissima.

Una storia in “quattro fasi”
Conviene, in questo senso, dividere tale processo in quattro fasi piuttosto distinte ma che non si escludono mai a vicenda.
La prima fase, che parte dal 1886, ha ovviamente lo scopo di delineare e uniformare le regole generali e di rendere il gioco uguale dal punto di vista del suo corretto svolgimento in ogni luogo venga praticato. È proprio la IFAB a redigere il primo documento ufficiale con tali contenuti, anche se pesca a piene mani in un altro testo, il famoso Codice Cambridge che la Football Association pubblica nel 1863, 23 anni prima. In questo codice, di chiara impronta studentesca e universitaria, si fa già menzione di qualche elemento cardine dello spirito del calcio, come la durata della partita, la possibilità data solo a un giocatore per squadra, il portiere, di toccare con le mani il pallone e, di conseguenza, il fallo di mano per tutti gli altri.
Da queste prime informazioni, si evince quindi che il calcio come lo intendiamo tuttora nasce 165 anni fa in Inghilterra e che, circa 25 anni dopo, ha già toccato una tale popolarità e diffusione in Europa e non solo, che si sente l’esigenza di trasformare quell’attività divertente e appassionante in un vero e proprio sport dotato di un disciplinare uniforme, consultabile e, soprattutto, applicabile a ogni evento. Infatti, tutta la lunga prima parte del susseguirsi di modifiche e aggiustamenti delle regole, come abbiamo visto, obbedisce all’esigenza di intelligibilità in senso razionale del gioco, cercando di esaltare i valori di lealtà e ovviamente di sportività.
Questa fase, che possiamo definire anche di ‘costruzione’ del calcio durerà addirittura fino al 1970, quando le esigenze alla base delle modifiche diventano altre e molteplici: dalla ricerca dello spettacolo al freno al gioco duro o violento, dallo stimolo alla ricerca della vittoria alla lotta contro la perdita di tempo.
E qui mi sia permessa una digressione apparentemente fuori tema. Il diffondersi del mezzo televisivo cambia la storia e anche quella del calcio, delle sue regole, del suo rapporto con il pubblico e del modo di raccontarlo. Ci sono figure di campioni del rettangolo verde che appartengono alla penna, alla letteratura, altre che sono radiofoniche e altre, queste contemporanee, televisive o perfino cinematografiche, senza però che sia mai presente alcuna finzione.
Quella che è quindi cambiata nei decenni di un secolo e più è stata la percezione, che ha relegato l’immaginazione in una posizione sempre più superflua. Si è passati dal bere le parole scritte del pallone ad ascoltare fiduciosi una narrazione epica che colorava azioni e boati fino a seguire commenti di immagini chiare e che suggeriscono opinioni, ma anche giudizi.
Anche la stampa sportiva ha seguito o subito tale evoluzione, perché un cosa è stimolare una fantasia senza possibili riscontri, altra è spiegare o approfondire ciò che è stato già sentito e altra, infine, è addentrarsi, prendendo magari posizione, in un groviglio di gusti e opinioni diverse, tutte comunque suffragati da immagini. Immagini che, nel modo di fruire d’oggi, diventano fatti. Tenterò, tanto per giocare, di indicare per ognuna di queste tre epoche un campione di calcio e di giornalismo scritto.
Per lo sport, dico Andrade, Meazza e Messi, con Pelé che fluttua tra radio e tv prima del satellite, mentre per la stampa, almeno italiana, nomino rispettivamente Emilio Colombo, Bruno Raschi e Gianni Brera, ed è molto curioso il fatto che tutti e tre questi giganti con la penna in mano fossero più appassionati di ciclismo che di calcio. Potenza dell’Epica! Sta di fatto che, a livello di percezione di massa, il gusto per la ricerca estetica ha progressivamente lasciato lo scettro alla rivendicazione, allo strepito per il torto subito, dando quindi un impulso alle varie riforme del Regolamento esattamente in questo senso.
Ora, tornando proprio al suddetto regolamento, è bene precisare meglio che questa seconda fase non esaurisce la prima, non la manda in soffitta, ma diventa solo preponderante, specialmente perché il pubblico che segue l’evento calcistico si è nel frattempo moltiplicato a dismisura a causa della televisione e diventa appunto sempre più critico ed esigente. E questo mezzo mediatico, con la tecnologia capace di far vedere ogni minimo particolare e di misurare ogni più piccola distanza, ha creato la necessità che ha messo in moto la terza fase di modifiche: la riduzione dell’errore del giudice di gara.
Questo fatto genera una marea di tentativi ‘umani’ per ovviare al problema, ma senza risultati apprezzabili, finché, nel 2016, si è inaugurata una quarta fase, tuttora in pieno corso, con la già ricordata introduzione di un’alta tecnologia computerizzata, il VAR.


Alcune considerazioni preliminari
Un paio di considerazioni sono necessarie al riguardo.
La prima è che la gestazione del VAR è durata dieci anni, dal giorno in cui Zidane diede una testata in pieno petto a Materazzi sotto gli occhi del mondo intero, compresi gli spettatori allo stadio dotato di maxischermi.
Tutti videro, tranne i quattro arbitri in campo. Come si è spiegato nel pezzo dedicato di cui già si è detto qui, il francese non era tecnicamente sanzionabile, ma per ovviare all’increscioso inconveniente e alla pessima figura dei direttori di gara, ci si inventò sui due piedi che il ‘quarto uomo’ aveva in qualche modo visto la grave scorrettezza.
In realtà si controllarono, in modo obiettivamente e indiscutibilmente non lecito, le immagini appena trasmesse e appunto viste dall’universo in diretta. Ma, ribadisco, dovranno passare dieci anni perché, con qualche limitazione che vedremo, venga introdotto il VAR. Il quale, in teoria, rimane uno strumento d’aiuto per l’arbitro, ma che di fatto, e con le mille complicazioni di cui mi accingo a trattare, pur riducendo le obiettive ingiustizie, ha finito per abbassare di molto il livello tecnico e di preparazione ‘giuridica’ degli arbitri stessi. Decretando inoltre, in modo assai discutibile, la supremazia dell’occhio tecnologico su quello umano in tutti i casi, compresi quelli in cui il giudizio è soggettivo e non obiettivo.
La seconda considerazione è che ciò che ho definito ‘quarta fase’, riguardante esclusivamente le modalità d’uso, di consultazione, di richiamo e di accesso a questa macchina che doveva azzerare le discussioni polemiche e che invece le moltiplica a dismisura, coincide con il famoso Protocollo che fa ammattire ogni domenica (e pure qualche mercoledì…) arbitri, atleti, allenatori, dirigenti, giornalisti e tifosi. E che, ma ne parleremo nell’ultima parte di questa disamina, crea di nuovo spinte verso modifiche, chiarimenti, aggiustamenti e messe a fuoco.
1 – Continua