Madrid, Santiago Bernabéu, 7 gennaio 1995
Immagine di copertina: Ivan Zamorano, autore di tre reti
Il contrappasso sa essere crudele ed è sempre inaspettato e brutale: un anno esatto dopo la lezione di football che la banda di Crujiff ha impartito ai malcapitati madrileni al Camp Nou, i Blancos, che si preparano a respirare nuovamente l’aria rarefatta della vetta, si vendicano nella maniera più plateale, ovvero restituendo ai rivali di sempre la manita da poco incassata, al termine di una prova di forza sbalorditiva.
Non c’è davvero partita, al Bernabéu, il 7 gennaio 1995: a Barcellona si respira aria di smobilitazione, Johann siede imbronciato in panchina e la disfatta di Atene ha lasciato cicatrici inguaribili sul corpo blaugrana. Il crepuscolo del Dream Team non fa prigionieri, e la squadra di Johann, che in Champions alterna prestazioni vintage e partite poco brillanti, si materializza in tutto il suo spessore nella Liga, là dove i madrileni, reduci da quattro stagioni di scoppole, si riprendono il proscenio d’autorità.
Ci sono stante piccole storie dentro la storia del Clasico del 1995, e la più importante ha la faccia da artista svagato di Michael Laudrup: l’uomo che ha nobilitato la cifra tecnica catalana per molti anni con il suo genio gentile, l’uomo che ha spezzato una volta per tutte il falso mito per cui le persone buone e pacate non possono essere dei leader e dei vincenti, ha lasciato la Catalogna sbattendo la porta, perché il suo mentore Johann l’ha troppo spesso relegato in panchina nel corso della stagione precedente, senza curarsi del concetto di riconoscenza, mentre il danese reclamava ancora un ruolo da prim’attore. Dimenticato dal genio olandese, Michael il ruolo di protagonista se lo riprende traslocando a Madrid, nell’incredulità generale. Il suo approdo nella capitale spagnola è decisivo in quanto regala al gioco dei Blancos quelle qualità e imprevedibilità spesso mancate nella stagione precedente, e al resto pensano alcuni grandi vecchi e alcuni giovani arrembanti.
A Barcellona, invece, il clima è plumbeo, le giornate sono uggiose e le figuracce fioccano: vedo, sotto tale profilo, diverse analogie con la stagione in corso del Manchester City.
Le pagelle – Real Madrid
IL MIGLIORE: Iván Zamorano 8,5
Dimenticate il gregario tutto polmoni e sacrificio di Milano: il cileno con la faccia da indio, ispirato da un Laudrup assetato di rivincita, nel 1994/1995 gioca da nove puro e segna come il più prolifico dei cannonieri. La sua prestazione nel Clasico del 1995 è forse l’apogeo della sua carriera: l’indio segna tre gol da opportunista di pregevole fattura, semina il panico in numerose altre occasioni, colpisce un palo e serve ad Amavisca la palla della manita. Il Bernabéu lo celebra come una divinità pagana.
Laudrup 7,5: la vendetta viene servita calda e velenosa dal fuoriclasse danese, che salta ripetutamente Guardiola, incaricato di contenerlo, inventa due assist da genio e sbaglia pochissimi palloni. Il deux ex machina del Real rampante del 1995 si chiama Michael Laudrup.
Luis Enrique 7: schierato ala destra, Lucho corre e lotta come un leone, salta ripetutamente Sergi, sfiora il gol. Prestazione da universale che gli vale gli applausi di tutto lo stadio.
Fernando Hierro 7: ha già ristretto il raggio d’azione, rispetto a due/tre stagioni prima, ma rimane un difensore che ha la classe e la visione di gioco del regista classico, e che cancella dal campo senza penare gli avanti blaugrana.
Raúl González Blanco 6: debutta nel Clasico un giocatore destinato a diventarne protagonista per oltre un decennio, e lo fa a diciassette anni e mezzo, da bambino imberbe e già sul trampolino di lancio per la gloria. La sua è una prestazione che rivela tutta la sua immaturità, specie nella lettura di alcune situazioni complicate, e che però lascia intuire un talento cristallino.
Le pagelle – Barcellona
IL MIGLIORE: Gheorghe Hagi 6
Dopo il biennio a Brescia e un mondiale americano da cineteca, Hagi fa i bagagli per le Ramblas e la sua avventura in blaugrana sarà più amarezze che soddisfazioni. Nel primo Clasico con la maglia del Barça, Hagi è forse l’unico a guadagnarsi una risicata sufficienza: si invola in due o tre occasioni in sortite palla al piede che trasudano qualità e prova quantomeno a impensierire lo spettatore non pagante Buyo.
José Mari Bakero 5: dopo una vita da mediano che si esalta come un artista, Bakero sembra aver scaricato le pile, e la confusione che regna in Catalogna non lo aiuta. Il crepuscolo del Dream Team è anche il suo crepuscolo: spaesato, poco preciso, ha il demerito di perdere malamente il pallone del tre a zero, regalandolo all’amico di sempre Laudrup.
Romário 5: entra nella ripresa – perché la sua seconda stagione a Barcellona è molto meno positiva della prima e Johann se ne accorge al volo – e non ha modo di lasciare il segno. Abbandonato in attacco, prova a rendersi pericoloso ma soffre di solitudine e di imprecisione.
Ronald Koeman 4: il fuoriclasse olandese ha imboccato il viale del tramonto di wilderiana memoria. Bolso e appesantito, si fa superare cinque/sei volte dal centravanti cileno del Real senza opporre una vera resistenza, e anche con con il pallone tra i piedi sembra aver smarrito la lucidità degli anni migliori. Per lui, gli ultimi mesi in Catalogna assomigliano a un calvario.
Hristo Stoičkov 4: la sua prestazione, già di per sé grigia, diventa imbarazzante a causa del rosso che il bulgaro, fumantino come di consueto, si guadagna pochi istanti prima del fischio che chiude il primo tempo. Il suo intervento killer su Sanchìs è imperdonabile e scalda persino gli animi di un leader pacato come Hierro. Anche nel suo caso, la gloriosa esperienza catalana volge al termine e le valigie per Parma sono quasi pronte – Cruijff ne avalla la cessione, intuendone il precoce declino.