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A 40 anni dal match di Kinshasa, Tommasi ci svela il suo Mohammad Alì

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La boxe attuale per risollevarsi avrebbe bisogno di un nuovo Mohammed Alì, cioè non solo di un immenso pugile, ma anche di un’icona mediatica. Cassius Clay è stato l’ultimo fenomeno del pugilato ed il primo grande “comunicatore” ed alfiere di importanti battaglie sociali, in un’epoca ancora non pervasa dai media, ma già attraversata da profonde problematiche civili e politiche.
Un personaggio che, ancora oggi, seppur debilitato dalla malattia, continua a combattere con immutata tenacia e a calamitare come pochi l’attenzione dell’opinione pubblica.
Rino Tommasi, eminente firma del giornalismo sportivo, uno dei pochi veri intenditori della “nobile arte”, in “Muhammad Alì – l’ultimo campione, il più grande?” – Gargoyle editoreripercorre, in un ideale percorso a rounds/capitoli, corredato da un ricca ed emozionante galleria fotografica, attraverso aneddoti, curiosità e retroscena, l’intera parabola umana e sportiva di Alì.

Il libro si apre con il ‘round’ dedicato alla conquista della medaglia d’oro conquistata alle Olimpiadi di Roma del 1960, a soli 18 anni. Un’epifania precocissima proseguita e confermata dal titolo di campione del mondo dei pesi massimi colto a 22 anni. Lo stile di Alì era unico: tecnica, agilità, rapidità e quel gioco di gambe unico e micidiale, un’autentica ‘danza’ sul ring, tutte qualità che, unite alla sapiente arte della provocazione, mandavano fuori giri gli avversari.
Ma Alì è stato molto più di un fuoriclasse della boxe. Il suo impegno contro la discriminazione razziale e l’apartheid negli Usa degli anni ‘50/‘60 gli sono valsi la più alta onorificenza civile statunitense: la Medaglia presidenziale. La ricerca spirituale lo ha portato ad abbracciare la fede islamica e ad abbandonare il nome originario di Cassius Clay in favore di quello più noto di Mohammed Alì.
Ha pagato il suo convinto pacifismo ed il rifiuto di arruolarsi nell’esercito e di combattere in Vietnam con uno stop di tre anni, quando era al top delle forze e della carriera.
Il 14 ‘round’ è dedicato al più grande evento della storia della boxe: l’incontro Alì vs Foreman a Kinshasa di cui ricorre quest’anno il quarantennale.
Un incontro – come sottolinea Tommasi – gonfiato di elementi extrasportivi sin dalla scelta del luogo effettuata da Don King, lo Zaire di Mobutu. E proprio gli abitanti di Kinshasa si rivelarono l’alleato numero uno di Alì, sostenendolo ed incitandolo con il celebre “Ali Bomaye”, cioè “Alì uccidilo”.
Il libro si chiude con la personalissima classifica stilata dall’autore riguardo i primi 10 grandi del pugilato. Per Tommasi, Alì si posiziona in terza posizione dopo Sugar Ray Robison e Joe Luis.
Nessun pugile, dopo Alì, ha raggiunto la sua popolarità, nessun campione dei massimi può al suo pari fregiarsi del titolo di leggenda, nessuno ha affascinato le masse quanto lui.  Solo Mike Tyson – dice Tommasi – ha dato l’illusione di poter reggere il confronto…ma a un certo punto si è “rotto”. Alì è stato un grandissimo pugile, uno showman ed un promoter, tutto quello che manca alla moderna boxe per poter tornare ad essere la grande boxe.

di Alessandro Sartore

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