«Gli anni Settanta sono gli anni dello Statuto dei lavoratori e del referendum sul divorzio, dell’austerity per la grande crisi petrolifera e delle Brigate Rosse». Parte da questa cornice perfetta oltre che necessaria per ambientare e comprendere l’impresa dello scudetto del Torino nel ‘76, il libro di Fabrizio Turco – La rivoluzione del ’76, Lìmina -.
Sono anni di grande cambiamento per la città di Torino. La prima grande emigrazione interna dal Sud del Paese ne ridisegna i tratti, nasce la company town. La rivalità tra le due squadre della città riassume e riflette le differenze sociali ed identitarie presenti. Il Toro rappresenta la parte proletaria e popolare della città e ne incarna lo spirito originario torinese e piemontese, mentre la Juventus, che raccoglie anch’essa il sostegno dei tanti operai venuti dal meridione, è però vista come la squadra dell’aristocrazia e dei padroni, gli Agnelli.
Turco trova con ‘Torino grande’ una felice chiave di lettura, rispettosa del Grande Torino, per definire la compagine del ’76. Quella squadra vide riconosciuta la sua forza dal CT Bearzot, ex granata, che il 26 gennaio ’77 contro il Belgio vestì di azzurro ben 7 giocatori del Toro. Era dai tempi del Grande Torino che una rappresentativa così nutrita non poteva fregiarsi di tale onore.