Frizzante, fumantina, passionale, solare, sicuramente unica nel suo genere: sono tanti gli aggettivi con cui potremmo descrivere Napoli, citta dalla rara bellezza artistica. ricchissima di cultura e di cose da fare, vedere e assaggiare. È un caleidoscopio di colori, suoni e odori che stanno bene solo li, guai solo a pensare di spostarli da un’altra parte.
Napoli è una città che pulsa di vita, dove il calcio è molto più di uno sport: è un rito, un atto di fede, un’esplosione di emozioni. E nel cuore di questa città vibrante, il Napoli Calcio regna sovrano, simbolo di un’identità forte e radicata.
Dalle prime partite sui campi polverosi ai trionfi epici dello stadio Maradona, il calcio a Napoli è diventato piano piano un viaggio nel tempo, un susseguirsi di gioie e dolori che hanno plasmato l’anima di un popolo. Ogni gol, ogni vittoria, ogni sconfitta è un capitolo di una storia d’amore che si tramanda di generazione in generazione, un legame indissolubile che unisce la squadra e la città in un abbraccio eterno.
Lo stesso identico abbraccio i napoletani l’hanno riservato per la prima volta a Giorgio Ascarelli, fondatore e presidente del Napoli, prematuramente scomparso il 12 marzo 1930, a 36 anni, a causa di una peritonite acuta.
Ascarelli è stato un personaggio amatissimo dalla sua gente e importantissimo per la storia del calcio e per la sua città. Era figlio di secondo letto di Beatrice Foà e di Salomone Pacifico Ascarelli, discendente di una lunga e ricca dinastia di origine ebraica risalente addirittura al 17° secolo e ai primi ebrei del ghetto di Roma. Il giovane Giorgio cresce in un ambiente borghese frequentando di tanto in tanto la ditta di famiglia (gli Ascarelli commerciavano lana da secoli) e seguendo la sua passione per le arti, la lettura, la buona musica e lo sport.
Dal padre eredita anche la passione per l’impegno politico e nel 1914 entra a far parte del Partito Socialista Napoletano nel ruolo di consigliere esecutivo. Sono anni di fervore storico e Ascarelli viene guardato a vista dal questore, proprio a causa della sua militanza politica, vigilanza che viene poi rafforzata, anche a causa della discendenza ebraica, con l’ascesa di Mussolini al potere.

Giorgio Ascarelli
Ascarelli è naturalmente attratto dallo sport: nel 1926 infatti acquista e regala al Circolo del Remo e della Vela Italia i locali per fare la sede sociale del circolo nautico e diventa uno dei fondatori del blasonato Circolo Canottieri Napoli. Ma è il calcio il grande amore di Ascarelli: Il giovane Giorgio si avvicina al mondo del calcio negli anni ‘20 quando assume la presidente della Internaples, società nata dalla fusione, nel 1922, tra Naples e Us Internazionali, due realtà locali già molto vivaci. Alla guida della squadra c’è Carlo Carcano, allenatore emergente che in seguito vincerà quattro scudetti con la Juventus.
La svolta vera avviene però il 2 agosto 1926 quando Giorgio Ascarelli comunica ai suoi soci di voler cambiare il nome alla società, che da quel momento in poi si chiamerà Associazione Calcio Napoli e rappresenterà in Italia la città partenopea. L’idea di fondo è romantica: per Ascarelli infatti il calcio è l’occasione, più unica che rara, per ridurre il divario esistente tra i vari strati socio culturali di Napoli e per appianare le differenze tra il proletariato e la borghesia opulenta e sofisticata da cui proveniva lui stesso.
Romantica è anche la scelta dei colori delle maglie: azzurro come il mare (a cui la città partenopea è legata visceralmente) e come il cielo quando splende il sole (spessissimo). Meno romantica invece la motivazione politica che porta Ascarelli a cambiare il nome Internaples in Associazione Calcio Napoli: sono anni difficili e il regime non avrebbe gradito in quanto non vedeva di buon occhio una squadra con un nome straniero come Internaples e ad Ascarelli non conveniva di certo fare guerre così alla fine opportunismo e buon senso hanno la meglio. Il Napoli nasce in un momento in cui il calcio italiano stava cambiando grazie alla firma della Carta di Viareggio: il documento, oltre a spianare la strada al girone unico, divide i calciatori in dilettanti e non dilettanti.

Ascarelli e alcuni giocatori del Napoli
Il Napoli esordisce nella Divisione Nazionale 1926-1927 e la prima stagione è molto al di sotto delle aspettative, con la squadra azzurra che raccoglie un solo punto in 18 gare, retrocede ma viene poi ripescata dalla Federcalcio. Gli azzurri, insieme ad Alba Audace e Fortitudo Pro Roma, sono gli unici rappresentanti del Sud Italia a partecipare al torneo e il ripescaggio è un’occasione per avvicinarsi alle società del Settentrione. Lo stesso Ascarelli, al termine della stagione 1928/29 convince la Federcalcio ad allargare il gruppo di partecipanti da 16 a 18 squadre: tra queste c’erano anche i partenopei. Ed è questa la stagione in cui Il Napoli fa il salto di qualità, grazie ai giocatori che il presidente aveva messo a disposizione.

Azione di gioco del Napoli
Sono anni di grande cambiamento questi, anni in cui il calcio stava prendendo sempre più piede, diventando sempre di più uno sport nazional-popolare. Ascarelli capisce le potenzialità di questo sport emergente e capisce che i calciofili a Napoli stanno aumentando sempre di più. È per questo che rinforza la squadra, ingaggiando Antonio Vojak, attaccante istriano proveniente dalla Juventus, con cui aveva vinto uno scudetto e con cui aveva dimostrato di essere un goleador validissimo.
Con il Napoli Vojak realizzerà 102 gol. Al suo fianco Ascarelli chiama Attila Sallustro, paraguayano di Asuncion proveniente dalle giovanili del Napoli e primo giocatore azzurro a vestire la maglia della nazionale azzurra. A guidare la squadra, il presidente partenopeo chiama William Garbutt, allenatore inglese proveniente dalla Roma. Nell’ambiente Garbutt era conosciuto per le sue doti di motivatore e per la sua fama di tecnico severo. Aveva allenato anche il Genoa con cui aveva vinto 3 scudetti ed era quanto di più moderno potesse offrire il calcio a quei tempi. Garbutt, preceduto dalla sua fama, arriva alle pendici del Vesuvio e come prima cosa rivoluziona il metodo di allenamento, inserendo tattica e disciplina. La scelta di Ascarelli si rivela vincente perché la squadra arriverà ben due volte terza in classifica, tra le grandi dell’epoca.
Una squadra rispettabile però non poteva non avere una stadio, degno di questo nome, in cui giocare, Ed è così che Ascarelli, complice anche le sue ingenti possibilità economiche, decide di regalare alla città e ai tifosi un impianto nuovo di zecca, (pagato interamente di tasca propria) e affida il progetto ad Amedeo d’Albora, ingegnere che aveva già realizzato importanti opere nel capoluogo campano.
Il nuovo stadio, ribattezzato “Stadio Vesuvio” è pronto in soli sette mesi e viene inaugurato il 16 febbraio 1930. Sorge vicino alla stazione centrale, nel Rione Luzzatti e può ospitare 20.000 spettatori che possono assistere alla partita sulle tribune di legno. La partita inaugurale vede fronteggiarsi Napoli e Juventus (finisce 2-2) e tra la folla c’è anche Ascarelli che si gode divertito lo spettacolo mischiato tra la sua gente, ignaro che il destino gli giocherà un bruttissimo scherzo.

Le tribune di legno dello Stadio Vesuvio
Passano infatti solo poche settimane e il 12 marzo 1930, Giorgio Ascarelli muore, a 36 anni, a causa di una peritonite fulminante. La notizia della sua morte attraversa letteralmente tutta la città e arriva alla squadra, che in quel momento si trovava in trasferta ad Arona per preparare la partita di campionato contro il Milan. Il cordoglio è unanime e la squadra rientra a Napoli per l’ultimo saluto all’amato presidente: ai funerali partecipano tantissime persone che accompagnano il feretro di Ascarelli al cimitero ebraico. E automaticamente quello che era lo “Stadio Vesuvio” viene ribattezzato “Stadio Ascarelli”, in onore dell’industriale che tanto aveva amato e che tanto aveva fatto per la sua città.

I funerali del Presidente
Passano due anni e nel 1932 viene assegnata la seconda edizione dei Mondiali di calcio all’Italia: per il regime è un’occasione d’oro per mostrare la potenza italica e per mostrare l’avanguardia delle infrastrutture e degli impianti che avrebbero ospitato il torneo. Tra gli stadi scelti c’era proprio l’Ascarelli, ma il regime, dopo averlo ristrutturato cambiandone completamente la facciata e ampliando i posti da 20.000 a 40,000, decide anche di cambiare il nome in Stadio Partenopeo: l’impianto avrebbe dovuto ospitare una partita della Germania e Hitler non avrebbe sicuramente gradito che la sua maestosa e arianissima nazionale giocasse in uno stadio intitolato a un industriale ebreo, per di più fervente socialista.
La decisione, ovviamente, non viene accettata dai napoletani e tantomeno dagli addetti che quello stadio l’avevano costruito, ma non si poteva fare altrimenti. Lo Stadio Ascarelli ospita durante il mondiale 1934 la partita tra Germania e Austria ma ha vita breve perché viene raso al suolo dai bombardamenti degli alleati nel 1942.
Ascarelli non è stato solo il fondatore del Napoli e un innovatore assoluto nel calcio, ma anche un mecenate amante delle arti, un uomo generoso che ha costruito asili e strutture per i bambini abbandonati ed è stato vicepresidente del Rotary Club. Un uomo che alla sua città ha dato tantissimo ma che purtroppo, col senno di poi, non è stato premiato e riconosciuto come avrebbe meritato.
Della sua memoria storica resta un impianto costruito nel 2011 nel quartiere di Ponticelli. Sulla targa commemorativa affissa all’esterno si legge: “A Giorgio Ascarelli, lungimirante industriale e munifico presidente della nascente società sportiva Calcio Napoli, la cui memoria fu oltraggiata dalla politica razziale fascista, che si manifestò anche attraverso la cancellazione del nome di “stadio Giorgio Ascarelli” all’impianto da lui voluto e finanziato, alla vigilia degli incontri della Coppa del Mondo del 1934”.